La bufera-telenovela dell’estate ha finalmente raggiunto la fine. Roberto Mancini, dopo aver chiuso il suo percorso alla guida della Nazionale di calcio dell’Italia, vola in Arabia Saudita dove ricoprirà lo stesso ruolo. Al suo posto arriva Luciano Spalletti, fresco Campione d’Italia col Napoli e pronto a dimostrare ancora una volta il suo valore sulla panchina più importante di tutte.
Nelle scorse settimane i rapporti fra Mancini e la FIGC si erano incrinati sempre di più, fino ad arrivare alla rottura con le dimissioni presentate dallo jesino. Gravina si è mosso subito per trovare un sostituto e, dopo qualche battibecco burocratico con De Laurentiis, è stato annunciato l’inizio dell’era Spalletti. Roberto Mancini chiude la sua avventura in azzurro con un bilancio tutto sommato buono. La striscia di imbattibilità e la vittoria ad Euro 2020 sono sicuramente traguardi importantissimi, ma viziati dalla mancata qualificazione ai Mondiali in Qatar. Ora l’ex attaccante della Sampdoria è pronto ad iniziare una nuova vita, stavolta sulla panchina dell’Arabia Saudita: l’ufficialità arriverà a breve, ma nonostante tutto persiste ancora qualche dubbio sulla scelta del CT.
Il titolo di questo articolo era ovviamente provocatorio, ma nasconde un sottile filo di verità. Roberto Mancini lascia la Nazionale per seguire tanti grandi nomi del calcio nel Golfo Arabo, dove sarà la mente coordinatrice dietro ai sogni di gloria della rappresentativa saudita. Per lui è pronto un contratto faraonico: La Gazzetta dello Sport parla di circa 25 milioni netti all’anno, correlati da lauti compensi per tutto il suo staff.
Impossibile negarlo, i soldi hanno giocato un ruolo chiave nella scelta del tecnico jesino. Professionalmente è impossibile biasimarlo, ma qualche appunto sulla scelta umana è doveroso. Lui, che si è sempre schierato contro la staticità del sistema italiano. Lui, che ha sempre puntato sui giovani e su una filosofia di gioco che premiasse prima il calciatore e poi il risultato. Lui, che “prima Pafundi e tutti gli altri”. Lui, che ci mette la faccia dopo la Macedonia del Nord e continua a difendere i suoi principi, nella speranza di lasciare un segno nella cultura calcistica del nostro Paese. Sì, lui è lo stesso che a giorni atterrerà a Riyad, pronto ad allenare la selezione di uno Stato in cui la passione per il calcio è una scoperta recente.
Nonostante l’eliminazione da Qatar 2022 gli avesse procurato qualche grattacapo in FIGC e fuori, in Italia c’era e c’è tutt’ora un numeroso gruppo di “Manciniani” che continua a vedere la sua figura come quella adatta a sviluppare il progetto azzurro nel prossimo futuro. E nonostante Spalletti sia praticamente il sostituto naturale dell’ex CT, la poca chiarezza può essere letta come una mancanza di rispetto verso chi lo ha sempre sostenuto.
Nessuno può sapere nel dettaglio cosa è successo fra Mancini e Gravina, e proprio per questo c’era bisogno di metterci la faccia. Nessuno può essere obbligato a rimanere sulla panchina della Nazionale, ma non è nemmeno giusto scapparsene via senza dire una parola al popolo che lo ha sostenuto anche quando sbagliava una convocazione o un cambio. Allo stesso popolo che ha accettato la chiamata di Retegui, fino ad allora sconosciuto ai più, e la scelta di lanciare giovani che nemmeno avevano esordito in Serie A.
Ecco, l’errore principale di Roberto Mancini non è stato lasciare la panchina dell’Italia, ma averlo fatto quasi di nascosto, tenendosi per sé le sue ragioni, permettendo ai suoi nemici di speculare fino in fondo. Che poi, in tutta onestà, anche nel più fedele sostenitore dello jesino si è insinuato il terribile dubbio: “Ha preferito il mero denaro all’onore di allenare l’Italia?”.
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