di Lorenzo Procopio
In questi giorni i cinema hanno visto l’arrivo di “Ant-Man and the Wasp: Quantumania“, film che inaugura la Fase 5 del Marvel Cinematic Universe. Il terzo capitolo di Ant-Man era chiamato (almeno nelle speranze) a risollevare il trend della Fase 4, salutata in modo piuttosto freddo dalla maggior parte dei fan. Eppure anche questo nuovo passo rischia di rivelarsi falso: su Rotten Tomatoes è infatti il film con il punteggio di gradimento minore di tutto l’MCU, con un generale allineamento del pubblico. Sembra strano pensare come, fino a pochi anni fa, ogni titolo Marvel fosse recepito come un evento imperdibile, catalizzatore di attenzioni e apprezzamento collettivo. Ma cos’è cambiato nel frattempo?
I “tempi d’oro” del Marvel Cinematic Universe
La situazione attuale del Marvel Cinematic Universe sembra un po’ un paradosso. Era soltanto il 2019 quando, ad aprile, usciva nelle sale di tutto il mondo “Avengers: Endgame“, diventato nei mesi a seguire il secondo incasso più alto nella storia del cinema. Quasi 2 miliardi e 800 milioni al botteghino e il plauso pressoché universale del pubblico. Un vero e proprio evento, non tanto per le proporzioni raggiunte, ma per il clima di febbrile attesa costruito intorno al titolo, da anni anticipato come la resa dei conti dei Vendicatori – anche grazie al terreno preparato in modo perfetto da “Infinity War“.
Solo tre anni sono passati da allora. Un intervallo irrisorio se confrontato con le tempistiche standard delle produzioni cinematografiche, specie quelle ad alto budget dei blockbuster. Tre anni, per fare un esempio, sono quelli intercorsi tra il primo film dell’MCU, “Iron Man” (2 maggio 2008), e il primo capitolo di “Thor” (6 maggio 2011). Ma forse, piuttosto che nei numeri assoluti, il problema sta proprio nelle proporzioni.
Troppi titoli come causa della disaffezione?
La Fase 1 dell’MCU ebbe bisogno di un ragionevole lasso di tempo per carburare. Il progetto era nuovo e ambizioso, il feedback del pubblico ancora da testare, le basi da gettare molteplici come molti erano i supereroi al debutto sui grandi schermi. Il computo finale fu di 6 film distribuiti in 5 anni (2008-2012). Lo strepitoso successo di “The Avengers”, inoltre, certificava l’ottima riuscita dell’universo narrativo, al contempo dando il via libera ad una accelerata sulle produzioni.
La successiva Fase 2 si sviluppò quindi in minor tempo, 3 anni (2013-2015), provvedendo allo stesso numero di titoli (6). Così, se la Fase 1 aveva portato in sala più o meno un titolo all’anno, stavolta la posta era raddoppiata (due titoli all’anno). Il trend in crescita si confermò decisamente nella Fase 3, che aumentava significativamente la quantità di contenuti: 4 anni di sviluppo (2016-2019) per ben 11 film. La media annua crebbe quindi ancora, arrivando a tre prodotti distribuiti all’anno.
La Fase 4: tanti contenuti in troppo poco tempo
È così che arriviamo alla Fase 4, conclusa da poco con “Black Panther: Wakanda Forever”. Dopo la sconfitta di Thanos e l’uscita di scena di molti degli Avengers storici, il nuovo corso dell’MCU rappresentava un po’ un reset della narrazione, dando inizio a quella che viene chiamata “Saga del multiverso”. Insomma nuove basi narrative da gettare, nuovi personaggi da introdurre e i vecchi da sostituire.
Ma la novità più importante della Fase 4 è la sua espansione transmediale (un po’ sulla scia del concetto di multiverso), che ha portato alla realizzazione di prodotti televisivi integrati nello stesso MCU. Il risultato? Una moltiplicazione esponenziale di titoli, distribuiti per altro in pochissimo tempo. Tra il 2021 e il 2022 sono usciti 7 film al cinema e 9 serie su Disney+, a cui si aggiungono 2 Speciali televisivi. Insomma in soli 2 anni siamo stati tempestati da 18 titoli Marvel: se le prime tre Fasi avevano rispettivamente visto il rapporto annuo passare da 1 a 3, qui siamo addirittura a 9.
Le opere Marvel hanno perso il carattere di evento?
Uscendo da ragionamenti puramente numerici, i dati sul quantitativo di contenuti non possono che avere un impatto a livello qualitativo. Non in termini di valore sul singolo film/serie, non nel senso estetico, bensì dal punto di vista della ricezione e orizzonte d’attesa del pubblico. È ovvio pensare che, se prima l’uscita di un titolo Marvel era un’occorrenza che tornava in media un paio di volte l’anno, l’attesa (e quindi il desiderio) intorno a quel ritorno si manteneva su un certo livello.
Livello drasticamente calato dal momento che ormai i prodotti dell’MCU escono con una cadenza che sa di abitudine. 18 titoli negli ultimi 2 anni significa quasi un contenuto al mese, una frequenza che probabilmente ha inciso sul modo in cui il pubblico ha iniziato a guardare tali prodotti. In questo senso le loro uscite hanno perso il carattere di evento di cui parlavamo, che in qualche modo attorniava di “aura” l’arrivo di un film nelle prime fasi dell’MCU.
I contenuti seriali tra esperimenti e fallimenti
Il discorso sulla frequenza e la quantità di contenuti ha quindi un risvolto qualitativo. L’inflazione del numero di prodotti ha infatti un preciso risvolto della medaglia: la reiterazione del formato. Sì, è vero, in senso superficiale Kevin Feige & Co. hanno cercato una via di differenziazione con il formato seriale, ma senza mai davvero convincere.
Titoli come “Wanda Vision” o “Loki” hanno esplicitamente prestato il fianco ad ampie sperimentazioni, con il difetto però di non aver inciso realmente nell’economia narrativa dell’MCU. Così, nella migliore delle ipotesi, i contenuti seriali hanno finito per presentarsi come pacchetti regalo ben confezionati, da aprire o lasciare in esposizione. Una situazione peggiorata dalla scarsa riuscita di prodotti come “Moon Knight” o “She-Hulk”, che probabilmente hanno fatto passare l’idea che le serie Marvel siano per lo più evitabili senza perderci molto.
La ripetitività della forma di racconto
Problemi di formato sono rintracciabili ugualmente nelle opere cinematografiche, ed è questo il versante dove si percepisce più appesantimento. Nel caso dei film, potremmo dire che il problema è con tutta evidenza quello della formula del racconto, dovuto sempre alla sovrabbondanza di contenuti. La narrazione di molti film Marvel è di fatto basata su una forma di sceneggiatura standardizzata, con cui il grande pubblico potrebbe essere venuto “a noia” dopo decine di titoli.
Non è un caso se molti dei registi della Fase 4 fossero firme autoriali, chiamate a fornire una visione originale sui loro lavori. È quello che ha provato a fare Sam Raimi con “Dottor Strange nel Multiverso della Follia”, o con minori risultati Chloe Zhao in “Eternals”. E allora forse non è un caso nemmeno che l’incasso maggiore di questa fase sia stato “Spider-Man: No Way Home”: successo strepitoso, certo, ma forse dovuto più alla retromania collettiva e all’hype creato dal ritorno degli Spider Man passati che all’attrattiva dello Spider Man attuale.
Cambiamenti all’orizzonte?
Un altro fattore da considerare, infine, è costituito da possibili riorganizzazioni ai piani alti della Marvel. Poco tempo fa riportavamo alcuni rumor secondo cui Kevin Feige aspirerebbe a diventare nuovo Chairman di Walt Disney Studios. Un cambiamento che, se confermato, lo porterebbe a lasciare i Marvel Studios. Ma a prescindere dal suo ruolo in futuro, lo stesso Feige ha recentemente affermato che nella Fase 5 le uscite dei contenuti saranno più diluite nel tempo. Dichiarazioni che vanno a confermare la nostra analisi: troppi titoli sono controproducenti.
Insomma anche in casa Marvel si sono accorti che è meglio cambiare qualcosa rispetto all’ultimo biennio. E voi invece che ne pensate? Vorreste qualcosa di diverso dal futuro dell’MCU? Fatecelo sapere sui nostri canali social. Intanto continuate a seguire Nasce, Cresce, Streamma per tutte le news e gli approfondimenti sul mondo del Cinema e delle Serie TV!
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