di Domenico Scala
“Il caso Alex Schwazer” è una docu-serie italiana in quattro puntate, disponibile dal 13 aprile su Netflix, che va a ripercorrere l’intera vicenda sportiva, giudiziaria e personale del marciatore altoatesino oro olimpico nella 50 km di Pechino 2008. L’atleta è attualmente squalificato per doping fino al luglio 2024, cosa che gli impedirà di partecipare anche alla prossima rassegna a cinque cerchi di Parigi (dopo aver già saltato l’edizione di Londra e quella di Rio); non è bastata l’archiviazione del procedimento penale per doping a suo carico, respinta dalla giustizia internazionale e dalla WADA (Agenzia mondiale antidoping).
L’intero staff di Schwazer continua tuttavia ad accusare l’ex IAAF (Federazione Internazionale di Atletica leggera) e la stessa WADA di aver manomesso i campioni relativi alla seconda positività del campione di Vipiteno (BZ) con l’intento di celare tutta una serie di fatti che inserirebbero questa “voluta” squalifica all’interno di un quadro molto più ampio ed oscuro di corruzione…
La gioia di Pechino e la positività a ridosso di Londra
Partiamo da alcuni presupposti fondamentali; nel 2008 Alex Schwazer vince la 50 km di marcia olimpica a Pechino senza ricorrere all’utilizzo di sostanze dopanti, contrariamente a quanto alcuni sostenevano già all’epoca. Quella medaglia non gliela toglie nessuno, così come purtroppo la successiva prima squalifica per doping del 2012, a ridosso delle Olimpiadi di Londra. Il marciatore risultò positivo all’EPO durante un controllo antidoping a sorpresa, rivelando poi a tutti la positività in una conferenza stampa in diretta in cui scoppiò in un pianto a dirotto davanti alle telecamere di mezzo mondo.
Da sottolineare il fatto che fin dal primo momento l’atleta riconobbe le proprie responsabilità e accettò senza discutere la squalifica di tre anni e sei mesi, che poi scontò regolarmente; denunciò tuttavia un sistema corrotto, in cui era ormai impossibile gareggiare lealmente contro avversari a detta sua dopati in maniera sistematica. Non a caso, un paio d’anni dopo (forse anche grazie a questa vicenda) scoppiò il famoso caso di doping di Stato in Russia, con tutti gli atleti del Cremlino ancora oggi impossibilitati a gareggiare sotto la bandiera di Mosca nel panorama internazionale delle gare olimpiche.
Gli anni della squalifica
Negli anni della squalifica Schwazer ha dovuto affrontare un complesso periodo di ripresa personale, non soltanto da un punto di vista atletico. Sono gli anni in cui s’interrompe anche il rapporto sentimentale con la campionessa di pattinaggio Carolina Kostner, squalificata anch’essa (suo malgrado) per omessa denuncia ed ostacolo alle indagini; ma più in generale deve fare i conti con una reputazione ormai fortemente compromessa ed un’immagine impossibile da ripulire. Motivo per cui Schwazer decide, a sorpresa, di rivolgersi a Sandro Donati in vista di un possibile rientro alle competizioni agonistiche. Donati è sempre stato uno dei principali paladini della battaglia contro il doping nello sport, e negli anni precedenti era tra coloro che avevano avanzato dubbi sull’onestà di Alex Schwazer. La decisione fu quindi sorprendente: intraprendere proprio con questo suo “nemico” un percorso di redenzione, per dimostrare che vincere in maniera pulita si può e si deve.
Il ritorno in gara e l’incredibile qualificazione per Rio!
Schwazer inizia quindi a marciare sotto la guida attenta del suo nuovo allenatore. L’obiettivo è chiaro: partecipare (e vincere!) alle Olimpiadi di Rio del 2016, ormai prossime. Il primo riscontro su pista (a meno di un anno dai Giochi) si rivela fenomenale per l’atleta, vicinissimo al record mondiale sulla distanza dei 10 km nonostante il vento a sfavore; purtroppo il tempo ottenuto in quell’occasione non poteva essere preso in considerazione in maniera ufficiale, data la squalifica ancora in corso. Ma pochi giorni dopo il termine della squalifica esordisce in gara (direttamente in maglia azzurra) in occasione dei campionati del mondo di marcia di Roma. L’8 maggio 2016 Schwazer vince quindi la sua gara sulla distanza dei 50 km con il tempo di 3 ore e 39 minuti netti, e con più di 3 minuti di margine sul secondo classificato, l’australiano campione olimpico in carica Jared Tallent.
Il marciatore altoatesino era quindi riuscito nell’impresa di qualificarsi alle Olimpiadi di Rio, e ci sarebbe arrivato probabilmente da favorito assoluto, nonostante le feroci critiche e i pesanti giudizi che doveva sopportare in quei giorni da parte dell’intero sistema sportivo italiano, messo evidentemente in forte imbarazzo dalla situazione venutasi a creare.
La fine del sogno e l’inizio di un’oscura vicenda giudiziaria
Da quel momento tutto precipita vertiginosamente, sfociando in argomenti che poco hanno a che vedere con lo sport. Quando si capì che Schwazer sarebbe tornato in gara (con ampie possibilità di vittoria, a tutti i livelli!) molti personaggi tentarono in tutti i modi di osteggiarne il ritorno alle competizioni. La coppia Schwazer-Donati era tra le più odiate del panorama internazionale; il primo si era macchiato di doping e i vertici internazionali non vedevano di buon occhio un suo ritorno ad altissimo livello; il secondo invece era stato allontanato ormai da tempo da determinati ambienti, proprio per la natura scomoda delle sue battaglie contro i casi di doping nello sport. Fatto sta che il 21 giugno 2016 (a poco più di un mese dalle Olimpiadi) arrivò la positività al testosterone di un vecchio campione di urine prelevato il 1° gennaio dello stesso anno, già certificato in precedenza come negativo.
L’umiliazione di Schwazer e la nuova squalifica
Lungi da noi l’entrare nello specifico di quello che è poi diventato un complessissimo caso giudiziario e mediatico, vogliamo soltanto riportare l’umiliazione finale cui è stato infine sottoposto Schwazer, nel tentativo di partecipare comunque alle Olimpiadi dopo anni di sacrifici. Il marciatore fu costretto a recarsi “regolarmente” a Rio de Janeiro (Brasile), a spese sue e senza alcuna garanzia in merito alla sospensione della squalifica; si decise infatti di discutere proprio lì il ricorso al TAS (precisamente l’8 agosto), ad Olimpiade in corso e a pochi giorni dalla 50 km di marcia, cui Schwazer sperava ancora di partecipare. Due giorni dopo il ricorso fu però respinto e Schwazer venne squalificato per altri 8 anni, data la recidività. La squalifica cancellò anche tutti i risultati ottenuti nel 2016, tra cui proprio la vittoria nella 50 km dei campionati del mondo di marcia di Roma.
La legge è uguale per tutti?
Da un punto di vista sportivo, la vicenda Schwazer si conclude qui. Ma la docu-serie ha il merito di portare alla luce con dovizia di particolari anche tutti i retroscena legati al fronte giudiziario della vicenda, che non si è mai davvero conclusa. Schwazer, Donati e i legali della difesa hanno avanzato diverse ipotesi di corruzione e complotto ai piani alti della Federazione Internazionale di Atletica leggera e dell’Agenzia mondiale antidoping, trovando poi riscontro nella sentenza del GIP del Tribunale di Bolzano che ha archiviato le accuse di doping e “accertato con alto grado di credibilità razionale” che i campioni di urina “siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e, dunque, di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta come pure del suo allenatore, Sandro Donati”.
Nonostante ciò il caso è ancora oggi sostanzialmente irrisolto, con l’unico colpevole (per la giustizia sportiva, ma non per quella penale!) individuato nella figura di Alex Schwazer, che probabilmente non riuscirà più a coronare il suo sogno e ripulirsi definitivamente l’immagine, forse vittima di un sistema troppo grande per poter essere realmente attaccato.
Conclusioni finali
“Il caso Alex Schwazer” è una docu-serie interessante, ben strutturata, che ripercorre in maniera abbastanza esaustiva tutte le tappe di una complessa vicenda sportiva e giudiziaria, nota soltanto in parte ai più. Le quattro puntate in esame hanno il merito di dare spazio a diversi protagonisti della vicenda, che hanno preso parte a questo periodo della vita di Schwazer a vario titolo. Tutto è raccontato con dovizia di particolari, senza trascurare l’aspetto più umano della vicenda. Al centro di tutto c’è infatti l’Alex Schwazer uomo, e non soltanto atleta, distrutto da un sistema a cui era irrimediabilmente inviso, soprattutto dopo essersi legato a Sandro Donati. Grazie anche ad una scelta delle musiche molto apprezzata, la vicenda assume contorni molto malinconici e toccanti, che in più di un punto portano lo spettatore a trattenere a fatica l’emozione, empatizzando molto con lo sfortunato protagonista.
Pur non volendo difendere né accusare nessuna delle due parti in causa, è necessario evidenziare come tempistiche, modalità e intenzioni delle più alte istituzioni coinvolte risultino più che sospette; nonostante infatti il contraddittorio non manchi nel corso del girato, quanto dichiarato desta più di qualche ragionevole sospetto, per quanto ad oggi non sia stato possibile accertare con assoluto grado di certezza una manipolazione volontaria del test antidoping dell’altoatesino.
Pro:
- Nessuno vero pro; la docu-serie riesce a raccontare nel dettaglio una vicenda piuttosto oscura e complessa, che meritava di essere raccontata al grande pubblico in questo modo. Nota di merito alla presenza di una voce fuori dal coro, quella di Olivier Niggli, direttore generale della WADA. Per quanto le sue parole siano fondamentali nella costruzione di un report del genere, l’accusa desta comunque più di qualche ragionevole dubbio.
Contro:
- Nessun vero contro; la docu-serie non ha particolari demeriti, se non forse quello di tendere un po’ troppo dalla parte di Schwazer. Tuttavia, come ricordato anche a schermo nelle battute finali, la quasi totalità degli accusatori (poi accusati!) del marciatore non ha voluto partecipare alla realizzazione del report né rilasciare dichiarazioni, non potendo di fatto replicare in maniera adeguata ed esaustiva a mezzo stampa a quanto sostenuto dal marciatore e dal suo allenatore.
Ecco a voi il trailer ufficiale de “Il caso Alex Schwazer”:
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