Ah, il Sudamerica. La terra della passione, del sole cocente che illumina il mare cristallino, delle foreste verdi che crollano sotto il suono delle ruspe. La terra delle divisioni, degli attici sulle spiagge più belle del mondo e delle favelas, dei barrios, della delinquenza e della criminalità. Quel posto dove possono convivere, a pochi chilometri di distanza, i figli delle famiglie facoltose e gli sgherri della malavita locale. Una terra bellissima, fatta di contraddizioni, ma soprattutto la patria acquisita del calcio (o futbol, come lo chiamano nei Paesi ispanofoni).
Sì, perché il calcio nasce e cresce in Inghilterra, ma assume la sua connotazione più intima e religiosa nel settore australe del continente americano, dove gli uomini e le donne vivono ad intervalli di 90 minuti. Il futbol è arrivato in Sudamerica sul finire del 1800 grazie alla colonizzazione e agli interessi degli inglesi, che commerciano coi locali ed esportano il loro gioco preferito. Argentini, brasiliani e uruguagi finiscono per innamorarsene e danno vita alle prime tre grandi scuole del calcio latinoamericano.
Come avrete potuto intuire dal titolo, questo articolo non parlerà però della storia conosciuta del calcio in Sudamerica. Questo episodio della rubrica “Il calcio nel mondo” racconterà il legame di sangue che intercorre fra l’Italia calcistica e i Paesi del futbol, fonte di un rapporto che unisce i popoli ancora oggi.
Il nostro viaggio comincia a Buenos Aires, precisamente nel barrio di La Boca. Il termine barrio, in Argentina, è l’equivalente della favela brasiliana e della baraccopoli europea. In questo quartiere, nel 1905, abitano diversi immigrati italiani, precisamente liguri, che decidono di fondare un club.
La prima riunione dei soci si svolge nella casa di uno di loro, tal Esteban Baglietto, e si conclude con l’abolizione dell’idea di giocare con le maglie bianconere. I fondatori decidono quindi di recarsi al porto e di adottare i colori della prima nave che fosse passata. Il destino vuole che la prima imbarcazione è la Regina Sophia, nave commerciale proveniente da Stoccolma e recante i colori della bandiera svedese. Il gruppo di ragazzi torna quindi a casa e decide che il nuovo club, denominato Boca Juniors per omaggiare gli inglesi inventori del gioco, vestirà i colori gialloblù.
Inizia così la storia di uno dei club più titolati dell’intero continente, capace di vincere (fra le altre cose) 35 campionati argentini e 6 Copa Libertadores, l’equivalente latino della Champions League. Il legame con il passato è però rimasto così forte che i tifosi del Boca Juniors sono ancora chiamati Xeneizes, che significa genovesi, e in Italia si contano moltissimi simpatizzanti del club di Buenos Aires. Parte importante di questo fenomeno è dovuta all’influenza di Diego Armando Maradona, che con la maglia del Boca ha deliziato il popolo argentino per poi scegliere Napoli e l’Italia come teatro della sua ascensione a Dio del calcio.
Ci spostiamo verso nord seguendo la costa atlantica del Sudamerica e, dopo aver attraversato il Rio de la Plata, sostiamo in territorio uruguagio. In questo piccolo Paese fra Argentina e Brasile si disputa uno dei campionati più accesi e competitivi del mondo: basti pensare che, in questa stagione, 13 squadre su 16 hanno giocato le partite in casa a Montevideo, la capitale. L’Uruguay è, in pratica, la nazione dei derby.
Uno dei club più famosi e titolati del calcio uruguagio è il Peñarol, capace di vincere ben 53 campionati e 5 Copa Libertadores. Il club nasce nel settembre 1891 come Central Uruguay Railway Cricket Club, abbreviato in CURCC: è la squadra degli operai che stanno costruendo la linea ferroviaria del Paese. Dal cricket si passa al calcio e, anche per una questione di comodità, si valuta l’idea di un cambio nome.
La scelta ricade su Peñarol, un quartiere periferico di Montevideo fondato da italiani, precisamente da piemontesi provenienti da Pinerolo. La denominazione del club diventa prima CURCC Peñarol e, dopo un anno, muta di nuovo in quello che rimarrà poi il nome ufficiale della squadra: Club Atletico Peñarol. Gli italiani giocano un ruolo fondamentale nella seconda nascita del Peñarol, tant’è che fra i primi presidenti della società figurano alcuni emigranti italiani.
Il legame fra il Peñarol ed il Piemonte è rimasto così forte che, nel 2007, il Torino ha invitato la squadra in Italia per celebrare i 100 anni di vita della società granata. I giocatori uruguagi sono stati poi accolti dal sindaco di Pinerolo, che li ha ricevuti in Comune e ha mostrato loro la città.
Lasciando l’Uruguay e continuando il nostro cammino lungo le coste orientali dell’America Latina, entriamo in Brasile e ci stanziamo nella metropoli di San Paolo. La città conta 12 milioni di abitanti ed è da sempre una delle mete favorite dagli italiani emigranti. Qui nasce, nell’agosto del 1914, un club che si pone l’obiettivo di essere la squadra rappresentativa degli italiani di San Paolo. Viene chiamato “Sociedade Esportiva Palestra Italia” ed è composto unicamente da calciatori italiani che risiedono nel quartiere popolare del Bràs.
Anche i colori richiamano il Bel Paese, dato che le prime magliette del Palestra Italia portano i toni cromatici della nostra bandiera. Insomma, il club è un vero proprio pezzo di Italia in Brasile, dotato anche di un proprio giornale affiliato, il Fanfulla.
La svolta radicale arriva nel 1942, con l’entrata in guerra del Brasile, che sceglie di appoggiare la causa degli Alleati. Il governo brasiliano spinge non troppo velatamente per modificare la denominazione del club, considerata troppo vicina all’Italia e al fascismo. Nasce così la Sociedade Esportiva Palmeiras, scompare il rosso dalle maglie ed ha inizio la storia di uno dei club più conosciuti di tutto il panorama brasiliano.
L’ultima tappa del nostro viaggio è il Cile, più precisamente la capitale del Paese, Santiago. In questa città stretta fra le Ande e l’Oceano Pacifico, colpita da terremoti apocalittici e devastata dalle disuguaglianze sociali, arriva intorno ai primi del 1900 una cospicua comunità di italiani che abbandona l’Europa in cerca di una vita migliore.
Come nei casi precedenti, anche agli italiani di Santiago viene l’idea di fondare un club. I ragazzi, a novembre 1910, si radunano nel negozio di cappelli di Alberto Caffi e fondano la società col nome di Audax Club Ciclista Italiano, che dopo una decina d’anni diventa Audax Club Sportivo Italiano.
Conosciuto in tutto il continente come Audax Italiano, il club ricorda le proprie radici già a partire dallo stemma, che comprende sia il tricolore che l’azzurro della Nazionale. Dal 2007 il club ha assunto lo stato legale di s.r.l. e si chiama Club Deportivo Audax Italiano La Florida, in onore del comune vicino Santiago dove disputa le partite casalinghe.
Piccola curiosità: a Santiago ci sono altre due squadre di immigrati, l’Union Española e il Palestino, fondate rispettivamente da immigrati spagnoli e palestinesi, che hanno una rivalità storica e accesissima con l’Audax Italiano.
Questa era la storia dei club sudamericani che possono vantare radici e origini italiane. La storia dell’emigrazione dal nostro Paese ci ha portato in tutti i lati del mondo, contribuendo a diffondere cultura, valori e tradizioni anche in posti lontani.
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