L’uomo, un sessantenne torinese, avrebbe dichiarato la condizione di cieco assoluto. Ma la documentazione clinica attesta, secondo il pubblico ministero, un quadro patologico non corrispondente al vero. Avrebbe così indotto in errore la commissione medica per l’accertamento dello stato di invalidità e ottenuto l’erogazione della pensione di invalidità con indennità di accompagnamento per un totale di 29 mila 760 euro, a danno dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale. Così recita il suo capo d’imputazione.
La difesa
L’uomo nega con forza l’accusa di truffa. “Le accuse si basano su luoghi comuni: il fatto che fosse in grado di fare la spesa o che non avesse difficoltà a inserire le chiavi nella toppa, oppure che si accendesse la sigaretta e camminasse da solo, non sono elementi che contrastano con la sua invalidità visiva”, spiega il suo legale. “Abbiamo sollevato alcune eccezioni e sicuramente produrremo tutte le consulenze mediche che attestano la sua condizione”.
L’uomo, secondo la difesa, soffrirebbe di una malattia genetica che gli avrebbe provocato la riduzione progressiva della vista. “Ci sono attestazioni mediche che lo comprovano. Quello che probabilmente è stato ignorato dagli inquirenti è che non bisogna essere in una condizione di buio totale ovvero di non vedere proprio nulla, per essere dichiarati ciechi. Ci sono situazioni molto gravi, come questa, dove resta comunque una visione periferica, seppur molto limitata. Magari in un occhio solo. Esistono diverse sfumature”.
C’è poi un’altra carta in mano alla difesa: “Quando l’Inps ha chiesto la restituzione di tutte le pensioni ricevute, è stato impugnato il provvedimento in sede civile e il ricorso è stato vinto dal mio cliente. È vero che i procedimenti civili e penali viaggiano su binari separati, tuttavia si tratta di un dato significativo di cui speriamo che il tribunale voglia tenere conto”.
Al momento l’uomo è ancora in attesa del processo, che dovrebbe comunque svolgersi il 25 maggio.
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