Il 22 settembre è uscito in tutte le sale il nuovo thriller psicologico di Olivia Wilde, “Don’t Worry Darling“. Nel cast spiccano i nomi di Florence Pugh, Harry Styles e Chris Pine, oltre a quello della stessa Wilde. Con loro recitano Gemma Chan, Nick Kroll, Douglas Smith, KiKi Layne, Timothy Simons, Ari’el Stachel e Dita Von Teese. La produzione è stata lunga e complessa e non sono mancate le controversie dietro le quinte del film che, tuttavia, è riuscito a vedere la luce.
“Don’t Worry Darling” si apre con l’introduzione dei protagonisti, Jack Chambers (Harry Styles) e la moglie Alice (Florence Pugh), e della loro vita da copertina. I due vivono in un piccolo paese abitato da sole coppie, Victory, situato in mezzo ad una landa deserta. Tutti gli uomini della comunità, incluso Jack, lavorano per la stessa azienda, dove collaborano al misterioso “Progetto Victory”, con a capo lo stimatissimo Frank (Chris Pine). Le mogli, invece, sono solite restare a casa a rassettare e cucinare o trascorrere del tempo insieme al centro commerciale e in piscina. Tutto perfettamente ordinato, sistematico e preciso.
L’utopica tranquillità della vita si incrina quando Alice inizia ad avere delle visioni e un’altra donna della comunità, Margaret (KiKi Layne), assume dei comportamenti inspiegabili che culminano quando si toglie la vita davanti a lei. Mentre Jack cerca di dissuaderla in ogni modo, Alice inizia un’angosciante ricerca della verità che si cela dietro Victory e il lavoro del marito. Con le visioni di ballerine, un motivetto che la tormenta e tutte le coppie del vicinato che fingono di non vedere, la protagonista cadrà in un confuso vortice di illusioni e realtà che la porterà ad un disperato salto nel vuoto verso la libertà.
Olivia Wilde ci offre un thriller dove niente è come sembra e le illusioni si confondono con una realtà che è pericoloso cercare. Una trama spesso affrontata nel genere thriller, che la lettura di Wilde rende interessante, ma non originale e innovativa. L’idea, tuttavia, non basta a salvare “Don’t Worry Darling“: la sceneggiatura e la stessa realizzazione, infatti, non hanno rispecchiato le aspettative. La trama, che dovrebbe essere dipinta come un vortice infernale al confine tra la follia e la realtà, finisce per risultare ripetitiva. Le scene di suspense hanno una costruzione sbrigativa e approssimativa, che culmina nella scelta di lasciare il finale aperto: tutto rimane piuttosto superficiale. Anche le varie componenti della trama risultano poco approfondite: il legame tra Alice e Margaret, il background delle altre famiglie, la storia di Frank che lo ha portato a creare il progetto Victory e il passato di Bunny (Olivia Wilde). La scarsa attenzione prestata dalla regia a ogni tipo di approfondimento rende complesso per lo spettatore calarsi nella pellicola ed immedesimarsi nei personaggi.
Un aspetto fondamentale che la regista ha voluto evidenziare è quello del femminismo, affrontato in diverse sfaccettature. L’introduzione con il modello di famiglia patriarcale tipico degli anni ’50, in cui il marito si dedica al lavoro e alla moglie spettano le mansioni domestiche, è solo un assaggio di ciò che il film ha in serbo. Scavando più in profondità, infatti, emerge un sistema in cui la donna non ha libertà di scelta, è imprigionata contro la sua volontà. Al fine di perseguire un proprio ideale l’uomo non si fa scrupoli, nemmeno davanti alla scoperta della verità di Alice. L’idea di trattare la componente femminista in maniera sottile, con la reclusione in un idillio, un’utopia che non sembra avere nulla di negativo, può risultare valida. La nota negativa è che risente della superficialità con cui, come già menzionato, sono trattati vari temi della trama.
La tematica del sessismo nel film potrebbe essere riconducibile al lavoro svolto da Jordan Peele con il tema del razzismo in “Scappa – Get Out“, del 2017. Peele, infatti, figura tra le influenze di “Don’t Worry Darling“, insieme a “The Truman Show“, “Matrix” e “Inception“, e la reclusione imposta mascherata da apparente felicità dei suoi personaggi ne è la prova.
All’interno del cast spicca fra tutti un’energica Florence Pugh, nei panni di un personaggio che, purtroppo, non sfrutta pienamente il suo potenziale. Le scene con Alice finiscono per essere ripetitive, incentrate sulle sue reazioni alle visioni e la disperazione per non essere ascoltata. L’ampio spettro di emozioni a cui Pugh è in grado di dare vita si riduce ad un personaggio essenzialmente piatto, che, tuttavia, riesce ad enfatizzare. La brillante interpretazione della protagonista ricorda inoltre quella che ci aveva regalato in “Midsommar” di Ari Aster, nel 2019. In esso come in “Don’t Worry Darling” riesce a rendere perfettamente il processo di lenta degenerazione psicologica, che la porta ad un declino verso la follia, e di frustrazione per non essere creduta da chi le è vicino.
Sull’altra faccia della medaglia troviamo Harry Styles come coprotagonista; purtroppo, l’interpretazione risulta poco convincente e i gesti e la recitazione decisamente troppo teatrali. Il personaggio di Jack assume così una bidimensionalità ancora maggiore di quella già dovuta alla sceneggiatura. C’è margine di miglioramento per il cantante, che tuttavia ha già chiarito di non avere intenzione di dedicarsi molto alla recitazione. Degne di nota sono inoltre le interpretazioni di Olivia Wilde e Chris Pine. Nel ruolo di una donna sofferente che abbraccia l’illusione piuttosto che affrontare la realtà, Wilde sorprende risultando convincente; il personaggio, però, ha uno spazio estremamente limitato all’interno della trama, privandosi dell’opportunità di dimostrare il proprio potenziale. Anche la parte di Pine finisce per essere limitata sia dal minutaggio che dalla sceneggiatura; Frank, infatti, non è approfondito a sufficienza per un personaggio della sua portata, che sarebbe stato interessante indagare a fondo.
Ci troviamo per le mani un film che ha attirato più orecchie sulle controversie del backstage che occhi sullo schermo. Sarà il basso target di età del pubblico, sarà la presenza di un cantante di fama mondiale nel cast, ma non c’è dubbio che gran parte del successo del film sia legata a questo. La trama parte da un’idea valida, seppur non nuova, ma rimane in superficie, senza approfondire background, personaggi, storie e tematiche e risultando anche ripetitiva. Del cast spicca Florence Pugh, che riesce a dare il meglio di sé con un personaggio piatto e poco indagato. L’interpretazione di Harry Styles non è convincente e spesso non valorizza scene che avrebbero potuto godere di un maggiore spessore. La recitazione di Olivia Wilde e Chris Pine, invece, è valida nonostante il limitato screen time a loro disposizione. Nel complesso, un film che avrebbe potuto dare molto di più.
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