Lo scorso 2 febbraio è uscito nelle sale italiane “Decision to Leave“, il nuovissimo film di Park Chan-wook. Il regista coreano torna al cinema con una pellicola molto diversa da tutti i suoi lavori precedenti. Nel cast troviamo Park Hae-il, Tang Wei, Lee Jung-hyun, Go Kyung-pyo e Seo Hyun-woo. Park Chan-wook, oltre alla regia, si è occupato della sceneggiatura della pellicola, assieme a Jeong Seo-kyeong.
Nelle notti nere di Busan, il detective Jang Hae-Jun (Park Hae-il), affetto da una grave insonnia, è costantemente occupato con appostamenti al fine di far passare queste interminabili notti. Per colpa del suo lavoro, riesce a vedere la moglie Jung-An (Lee Jung-hyun) solamente una volta a settimana, visto che la donna è residente ad Ipo. Durante l’investigazione sulla morte di Ki Do Soo, un ufficiale dell’immigrazione in pensione trovato deceduto ai piedi di una montagna che scalava spesso, il detective incontra la moglie della vittima, la cinese Song Sao-rae (Tang Wei). La giovane vedova diventa velocemente la sospettata principale per l’omicidio del marito, a causa di alcuni suoi atteggiamenti innaturali e delle lesioni presenti sul suo corpo. Durante i successivi interrogatori, Hae-Jun inizierà ad avvicinarsi sempre di più alla ragazza, fino ad infatuarsi di lei. In questo film, amore e mistero si intrecciano continuamente, arrivando alla totale sovrapposizione dei due concetti.
“Decision to Leave” è un film con molti punti di forza. Uno tra questi è senza dubbio la sua narrazione, anche in base a come è presentata. La pellicola, anche se non esplicitamente, è suddivisa in due “atti”, quasi diametralmente opposti tra loro. Il primo ha per soggetto l’investigazione di Hae-Jun su Sao-rae. Questa parte del film riesce a coinvolgere maggiormente lo spettatore, facendogli dubitare di ogni azione della ragazza. La sua è una semplice seduzione per cercare di farla franca o è davvero innamorata del giovane detective, dunque è innocente? Il ritmo della narrazione è sostenuto da qualche colpo di scena inaspettato, che aiuta a mantenere alta l’attenzione per quasi tutto questo primo atto. Inoltre, è presente una concezione molto particolare del tempo. Il film passa da luogo a luogo in pochi secondi, saltando intere ore diegetiche. Questo è in netto contrasto con la situazione di Hae-Jun, ammalato di insonnia e costretto a vivere interminabili notti. Anche grazie a particolari scelte stilistiche, il primo atto riesce con successo a catturare e, a volte confondere, lo spettatore.
Tutto questo cambia radicalmente nell’altra metà di “Decision to Leave“. Il secondo atto del film, ambientato tredici mesi dopo la fine dell’investigazione, fa distaccare lo spettatore dai suoi personaggi grazie a molte scene statiche e ad un ritmo narrativo abbastanza lento. Anche la concezione del tempo cambia: non sono presenti alcuni salti temporali fulminei, il film rallenta drasticamente. Tutti questi sono ovviamente degli effetti intenzionali ricercati da Park Chan-wook, al fine di mostrare la piattezza della nuova vita ad Ipo di Hae-Jun dopo la risoluzione del caso. Questo dissonante cambio di ritmo, però, potrebbe disturbare alcuni spettatori. Non aiuta il fatto che “Decision to Leave” dura quasi 2 ore e 20 minuti, un minutaggio leggermente elevato per quello che la pellicola vuole raccontare.
Considerando la filmografia di Park Chan-wook, “Decision to Leave” è un film perfettamente coerente con le tematiche predilette dal regista e, allo stesso tempo, è un’esperienza completamente diversa rispetto al passato. Al contrario di pellicole come “Old Boy” (2003) o “Mademoiselle” (2016), estremamente violente ed eroticamente intense, l’ultimo film del coreano presenta a malapena queste crude caratteristiche: la violenza è praticamente assente, mentre l’erotismo è solo accennato. Inoltre, questa pellicola decide di concentrarsi più sull’aspetto mondano e sentimentale rispetto all’azione e al thriller.
La tematica che collega “Decision to Leave” al resto delle pellicole del regista è la completa decostruzione del concetto di amore. Nel film, la passione che nasce tra Hae-Jun e Sao-rae diventa sempre più un’ossessione per il giovane. Il detective non è l’unico esempio di “amore ossessivo” che viene mostrato nel film. Park Chan-wook fa vedere allo spettatore altre due variazioni di questa tematica. Tramite San-oh, omicida ricercato da Hae-Jun, e “Schiaffo” Cheol-seong, un immigrato cinese, vengono rappresentati due uomini psicologicamente distrutti per colpa della passione (nel primo caso) e per l’affetto verso una madre (nel secondo). Nel secondo atto, è presente un completo ribaltamento nella relazione tra i due protagonisti. Questo arriva all’apice nel finale. Si tratta di una conclusione pungente, agrodolce, ma narrativamente e tematicamente perfetta.
Per quanto riguarda la parte tecnica, “Decision to Leave” è al limite della perfezione. Il primo atto è la parte del film in cui Park Chan-wook sperimenta con inquadrature e sequenze quasi oniriche. Non esiste la staticità durante questi segmenti, la cinepresa è quasi costantemente in movimento. Molte scelte stilistiche sono messe apposta per confondere e disorientare lo spettatore. Ad esempio, durante una telefonata tra Hae-Jun e Sao-rae è presente uno “sdoppiamento” dello spazio scenico in cui vengono mostrati, nella stessa inquadratura, entrambi i protagonisti mentre parlano.
I due sono rappresentati nella stessa stanza, come se non ci fosse distanza tra loro. Per “colpa” di queste scelte, alcuni spettatori potrebbero non apprezzare a pieno il film. Il secondo atto è, come nel caso della narrazione, stilisticamente molto più “normale”. Le inquadrature sono statiche e la pellicola sembra osare meno, anche se si tratta quasi sicuramente di una scelta intenzionale del regista coreano. Inoltre, un altro punto a favore della regia è rappresentato da dei piani sequenza mozzafiato. In uno di questi, la cinepresa segue Hae-Jun mentre insegue San-oh per oltre 2 minuti, senza nessun taglio.
Dopo tanti successi nell’ambito thriller, Park Chan-wook decide di rischiare notevolmente con un neo-noir che lascia tanto spazio al fattore sentimentale e romantico. “Decision to Leave” è stato esattamente questo: un enorme rischio. Ma grazie a questo rischio, il coreano ha deciso di osare non solo stilisticamente, ma anche per le tematiche trattate.
Inoltre, gli attori riescono a catturare lo spettatore grazie alle loro ottime prove attoriali. In particolar modo, una menzione speciale va fatta a Tang Wei, il cui personaggio è tra i più psicologicamente complessi dell’intera filmografia del regista. Questo è un film che in molti potrebbero non apprezzare per colpa di alcune sequenze disorientanti e per la lentezza del secondo atto, ma è sicuramente una pellicola che va recuperata. Peccato che gli Oscar non siano stati capaci di riconoscere i pregi di “Decision to Leave“…
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