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Cancel Culture – Il triste caso de “I racconti dello Zio Tom”!

di Domenico Scala

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“Cancel Culture” è il nome attribuito ad un fenomeno giuridico e sociale molto discusso negli ultimi anni, di cui si è spesso sentito parlare tanto sui social quanto sui media più tradizionali. Sono diverse le opere oggetto di questo infamante fenomeno di revisionismo storico: dalle opere letterarie di Tolkien e di Roald Dahl a tanti dei Classici Disney; dal leggendario “Via Col Vento” fino ad arrivare al mitico e più recente “Grease”. Per fare un po’ di chiarezza sulla questione abbiamo quindi deciso di portarvi alla luce uno dei casi più insensati di cancel culture, forse il meno recente ma il più significativo: quello legato all’ indimenticabile film del 1946 “I racconti dello Zio Tom”

 

Cos’è la “Cancel Culture”?

Quando si parla di Cancel Culture si entra in tutta una serie di discorsi particolarmente complessi da affrontare, per svariate ragioni. L’espressione è utilizzata (spesso a sproposito, e senza un reale criterio!) per indicare una forma moderna di ostracismo per cui qualcosa diviene oggetto di indignazione e proteste a posteriori. Di conseguenza, l’opera vittima di tale fenomeno viene spesso rimossa dal contesto di appartenenza, che sia online sui social media o fisicamente nel mondo reale.

Di fatto, la Cancel Culture è una forma forzata e (nella maggior parte dei casi) pretestuosa di revisionismo storico, che il più delle volte non tiene conto del periodo storico di riferimento e sembra ignorare il fatto che da errori e stereotipi del passato si possa e si debba costruire un futuro migliore, fatto di inclusività e rispetto reciproco. Qual è la discriminante? Conoscere il proprio passato! Perché, come i più basilari fondamenti della società ci insegnano, è dagli sbagli stessi che si impara.

Cos’è “I racconti dello Zio Tom”?

“I racconti dello zio Tom” (in originale “Song of the South”), è un lungometraggio in tecnica mista del 1946 diretto da Harve Foster (per la parte in live-action) e Wilfred Jackson (per la parte d’animazione), prodotto dalla Walt Disney; si pone come trasposizione cinematografica dei classici della favolistica statunitense “Le storie dello zio Remo”, scritte dal giornalista abolizionista Joel Chandler Harris. Purtroppo però, come vedremo in dettaglio più avanti, la pellicola è stata “cancellata dall’esistenza” per motivazioni più o meno pretestuose, che proveremo a sviscerare nei prossimi paragrafi.

Il film è sempre stato tacciato di revisionismo da alcuni comitati civili antisegregazionisti come la NAACP, National Association for the Advancement of Colored People. L’accusa mossa verso la pellicola è principalmente quella di aver rappresentato la vita degli schiavi e il rapporto con i padroni secondo il falso modello narrato dalla cosiddetta “letteratura anti-Tom”. In particolare, ci si riferisce agli scritti degli Stati Confederati d’America utilizzati per ribattere al romanzo del 1852 “La capanna dello zio Tom” dell’abolizionista Harriet Beecher Stowe, in cui è narrata la crudele realtà delle piantagioni e si afferma che soltanto con l’amore cristiano si può superare la distruzione e la riduzione in schiavitù di altri esseri umani.

L’impegno sociale di Walt Disney e l’eco del film nel presente

Malgrado le controversie, Walt Disney lottò a lungo contro le accuse mosse dalla NAACP e si prodigò perché venisse consegnato un Premio Oscar a James Baskett, interprete dello Zio Tom. Il protagonista riuscì poi a ritirare la statuetta più ambita nonostante la segregazione razziale in vigore all’epoca, che impedì allo stesso Baskett, a Nick Stewart, a Hattie McDaniel, a Johnny Lee e al resto del cast nero di presenziare alla première del film ad Atlanta. L’attore morì pochi mesi dopo aver ritirato l’Oscar onorario, con Walt Disney a dimostrargli affetto e profonda stima fino alla fine.

Oltre al riconoscimento per Baskett (e a una candidatura per la Miglior colonna sonora), la pellicola riuscì a portarsi a casa l’Oscar per la Miglior canzone: “Zip-a-Dee-Doo-Dah”, che ancora oggi risuona all’interno dei parchi tematici Disney. La traccia funge infatti da colonna sonora della celebre attrazione di Disneyland “Splash Mountain”, ispirata proprio a “I racconti dello Zio Tom”. E se la giostra gode tutt’oggi di fama propria e continua ad intrattenere con successo i visitatori del Parco, i personaggi al suo interno hanno anch’essi eco in altri contesti ugualmente remunerativi per la Casa del Topo: è celebre il caso del videogioco “Disneyland Adventures” (2011), in cui ritroviamo proprio i tre personaggi animati protagonisti del film: Fratel Coniglietto, Compare Orso e Comare Volpe

 

 

A difesa della pellicola

Negli anni la pellicola riuscì ad ottenere ampio consenso presso numerosi personaggi del mondo dello spettacolo, che consideravano il film notevolmente progressista per quanto riguarda i rapporti interrazziali; in particolare si sottolineavano spesso le sequenze in cui lo Zio Tom ed il piccolo Johnny si tengono serenamente per mano. Diversi esponenti della comunità afroamericana sostengono ancora oggi con forza le ragioni del film; su tutti Whoopi Goldberg e la figlia e la nipote di Nick Stewart (Compare Orso) che, insieme con l’Uncle Remus Museum in Georgia, hanno a più riprese tacciato i detrattori di ipocrisia, accusa mossa anche dagli stessi Baskett e McDaniel ai tempi del rilascio in sala del titolo.

 

Cancel Culture

 

La realtà dei fatti ci dice che il film è ambientato in Georgia durante la cosiddetta “Età della Ricostruzione”, periodo della storia americana immediatamente successivo alla Guerra di Secessione. E lungo tutto l’arco narrativo del girato sembra essere proprio questa la ragione per cui gli “schiavi” neri vivono in armonia con quelli che, a rigor di logica, dovrebbero essere i “padroni” bianchi. Semplicemente, in quel particolare momento storico la dinamica schiavo-padrone non esiste più ormai, e i pregiudizi razziali stanno per essere del tutto superati. Il pensiero del film (e di Walt Disney) era tutto lì! Basti pensare che nell’ultima parte del racconto Tom decide autonomamente di lasciare la piantagione per recarsi ad Atlanta, cosa che effettivamente succede. E sembra superfluo sottolineare che in un contesto storico differente da questo, con la schiavitù ancora legge, una libertà del genere mai sarebbe stata concessa…

Legalmente non disponibile

Alla luce di queste controversie, “I racconti dello Zio Tom” godette di una finestra distributiva in VHS in Italia ma non negli Stati Uniti. Nel nostro Paese, così come in tantissimi altri, non seguì alcuna edizione in DVD o Blu-Ray e (neanche a dirlo!) il titolo non è disponibile su Disney+ in nessuno dei territori in cui la piattaforma streaming è stata lanciata. Insomma, ad oggi il film “non esiste” legalmente e non è possibile recuperarlo, se non tramite una vecchia videocassetta o grazie ad un improbabilissimo passaggio televisivo, che manca ormai dal lontano 2007.

 

 

Considerazioni

“I racconti dello Zio Tom” è quindi un film che, a quasi ottant’anni dalla sua uscita in sala, ancora paga lo scotto di aver rappresentato un contesto storico piuttosto delicato in maniera forse un po’ troppo superficiale, finendo non soltanto per essere frainteso, ma addirittura tacciato di un qualcosa che proprio non sembra combaciare con quanto era evidentemente nelle intenzioni originali. L’entrata a gamba tesa delle già citate associazioni culturali, legittimate da un’interpretazione apparentemente forzata (oltre che discutibile, e tutta da verificare), ha poi fatto il resto, privandoci alla fine di un film innovativo e progressista per l’epoca, che certamente avrebbe meritato il posto che gli spetta tra i grandi Classici della Disney.

Chiudiamo quindi con un’ultima piccola riflessione sul fenomeno della Cancel Culture

Se si decide arbitrariamente di ignorare quanto scritto e/o realizzato (sia in campo storico che in campo artistico) nel corso della storia recente dell’umanità, l’unico futuro ad attenderci sarà allora soltanto una società ben peggiore di quella da cui sembriamo voler prendere le distanze a tutti i costi, come fosse un lascito culturale che proprio non ci appartiene, ma con cui prima o poi saremo sempre costretti a fare i conti.

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