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Calcio e salute mentale: un binomio troppo spesso sottovalutato

di Federico Minelli

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I calciatori sono persone normali. Non è vero, direte voi, con tutti i soldi che guadagnano! È facile scadere nel banale con dichiarazioni del genere, perché dietro i contratti milionari degli atleti professionisti si celano uomini come noi, gente normale che lotta con i propri demoni da tempo. E spesso, perde. La salute mentale, e più in generale la fragilità che tutti gli umani possono sperimentare, è spesso sottovalutata e anzi, per chi viene visto come “privilegiato” dal resto del mondo è quasi un peso in più da dover portare con sé.

Calcio e fragilità: Fagioli, Tonali e Beka Beka, i casi recenti

Tre situazioni da poco salite alle luci della ribalta, per motivi diversi ma con un comun denominatore: la fragilità. Sì, è la fragilità causata dalla malattia. Per Beka Beka, il calciatore del Nizza che circa due settimane fa aveva minacciato di buttarsi da un ponte, il problema era legato alla depressione dovuta ad una delusione amorosa. Per Fagioli e Tonali, invece, alla luce dei recenti scandali, potrebbe trattarsi di ludopatia, ma è bene attendere gli sviluppi del caso prima di scagliare sentenze.

Depressione o ludopatia, si parla comunque di malattie, che non devono essere mai sottovalutate. Il mondo del calcio – e dello sport in generale – ha sempre trascurato questo genere di questioni: solo negli ultimi anni, con il Covid che ha sicuramente dato una spinta, si è rivalutato il tutto.

Iniesta, Morata e non solo: la salute mentale è sempre stata in secondo piano

Una testimonianza importante è arrivata da un giocatore altrettanto importante: Andrés Iniesta. Il campione spagnolo si è confidato lo scorso anno ad un podcast di nome “The Wild Project”. “Quando combattevo la depressione – ha raccontato il 38enne –, il momento migliore della giornata era quando prendevo le pillole e andavo a letto. Avevo perso la voglia di vivere. Abbracciavo mia moglie, ma era come abbracciare un cuscino: non provavo niente. È trascorso un decennio da quando sono entrato nel tunnel depressivo, ma continuo ad andare in terapia perché ho bisogno di controllarmi. Sono felice quando i professionisti parlano di malattie mentali e depressione. Col tempo, la vita ti insegna che possono colpire chiunque”.

Un anno prima un altro iberico, Alvaro Morata, aveva espresso la propria opinione sul tema, raccontandosi a “El Mundo”. La sua speranza era che “i calciatori, prima o poi, possano allenare la mente esattamente come fanno con il corpo. Quando la testa non funziona bene, tutto diventa difficile e allora ogni giocatore diventa il peggior nemico di se stesso”. L’attaccante ha poi aggiunto che l’aiuto di uno psicologo – per lui è arrivato al secondo anno al Chelsea – si è rivelato di fondamentale importanza, perché la depressione è una malattia, esattamente come una distorsione a una caviglia o un problema muscolare. Quando ne soffri, combatti giorno per giorno contro te stesso e i tuoi fantasmi”.

Qualcosa si muove: il calcio si è accorto del problema

Come detto prima, il Covid ha sicuramente amplificato gli effetti e l’attenzione sulla sanità mentale, e il calcio si è mosso di conseguenza. Ormai quasi tutte le squadre professionistiche hanno a disposizione uno specialista che segua i giocatori anche per queste problematiche, alla stregua di fisioterapisti, massaggiatori e collaboratori tecnici. 

Quando Beka Beka minacciava di uccidersi, il Nizza ha subito inviato sul posto uno psicologo, che insieme ai vigili del fuoco è riuscito a trarlo in salvo. Ma anche Tonali e Fagioli hanno dichiarato di essere seguiti da professionisti per quanto riguarda la propria malattia: i loro conti sono monitorati da un tutor ed entrambi seguono percorsi di riabilitazione.

Insomma, per quanto possa sembrare facile e invidiabile la vita di un calciatore, la realtà dei fatti non è sempre quella che appare. Un granello nell’ingranaggio perfetto del mondo del calcio può far inceppare tutto quanto, e le dimostrazioni non mancano. Cosa possiamo fare noi tifosi, appassionati e addetti ai lavori? Rispettare e non giudicare troppo frettolosamente: sì, sono dei privilegiati, ma non per questo la loro vita è perfetta.

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