di Enrico Tiberio Romano
Il primo abbraccio, i primi mesi di vita e le prime esperienze potrebbero essere archiviati nel cervello e addirittura recuperati grazie a importanti passi in avanti nell’ambito delle biotecnologie. “L‘amnesia infantile è forse la forma di perdita di memoria più diffusa ma sottovalutata negli esseri umani e nei mammiferi” spiega il neuroscienziato Tomás Ryan, ed effettivamente al giorno d’oggi gli studi stanno approfondendo la ricerca per chiarirne cause ed effetti.
Recuperare i ricordi d’infanzia, possibile?
Uno studio condotto sui topi dal Trinity College di Dublino e pubblicato sulla rivista Science Advances approfondisce il tema dell’oblio infantile, da sempre ritenuto un fatto inevitabile della vita e poco attenzionato. I risultati però hanno dimostrato che l’attivazione di una risposta immunitaria materna durante la gravidanza può prevenire la perdita dei ricordi dei primi anni di vita influenzando il modo in cui funzionano le cellule della memoria nel cervello.
La ricerca in questo campo è poi proseguita rivelando che i ricordi si possono ripristinare se attivate le giuste cellule della memoria grazie all’optogenetica, una tecnica che utilizza fasci di luce per ‘accendere’ specifici neuroni geneticamente modificati.
Lo stesso Ryan ha aggiunto che: “Queste nuove scoperte suggeriscono che l’attivazione immunitaria durante la gravidanza si traduce in uno stato alterato del cervello che modifica i nostri ‘interruttori dell’oblio’ innati, ma reversibili, che determinano se si verificherà l’oblio dei ricordi infantili. Questa ricerca ha implicazioni significative per migliorare la nostra comprensione della memoria e dell’oblio durante lo sviluppo del bambino, nonché la flessibilità cognitiva nel contesto dell’autismo”.
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