Lo storico referendum per il riconoscimento delle popolazioni indigene australiane e la formazione di un Parlamento consultivo (“The Voice“) sembra naufragare sotto la vittoria, ormai plateale, del “no”. Con la parola fine al quesito referendario, anche lo stesso premier laburista Anthony Albanese ha subìto un duro colpo, considerando che questa occasione era la punta di diamante delle promesse elettorali che lo hanno portato al potere. Nonostante la netta sconfitta, c’è stata un’importante polarizzazione tra le città e il resto del territorio dell’Australia.
Come riportato da “The Sydney Morning Herald“, al momento (ore 18:00 italiane), lo scrutinio è già al 74%, marcando una decisiva vittoria del “no” per il 60%; ormai è diventato evidente che, in ogni caso, il quesito è stato bocciato dalla maggioranza dei 18 milioni di cittadini australiani convocati alle urne. In quasi nessuno degli stati e territori che compongono l’Australia, infatti, c’è stata una vittoria totale del “sì”, per un referendum che voleva sancire e aggiungere nella Costituzione il riconoscimento delle popolazioni indigene, le quali rappresentano il 3,8% dell’intera popolazione del continente.
“Progetto di legge: modificare la Costituzione per riconoscere i primi popoli dell’Australia istituendo una Voce (organo consultivo) aborigena e isolana dello Stretto di Torres. Approvate questa proposta di modifica?”. Requisito referendario
Nel caso di vittoria del “sì”, ci sarebbe stata l’istituzione di un organo consultivo apposito per gli aborigeni, che avrebbe avuto una rappresentanza all’interno del Parlamento australiano. Quest’ultimo, quindi, sulla base delle proposte di “The Voice“, avrebbe legiferato su proposte e tematiche attinenti solamente ai nativi.
I risultati mostrano una parziale polarizzazione tra le città e il resto del territorio; come riportato da ABC News, infatti, negli agglomerati urbani più estesi, come Sydney, il voto è totalmente ribaltato a favore del “sì”, con dati che arrivano fino al 71%. Risultati analoghi anche per Melbourne, con picchi positivi fino al 78%. L’unico territorio che ha votato per il “sì” in modo compatto e omogeneo è stato l'”Australian Capital Territory“, ovvero sia la zona che comprende la capitale, Canberra.
Il Premier australiano, qualche ora fa, ha rilasciato un discorso in merito al fallimento del referendum, appellandosi alla concordia e all’unità del popolo australiano:
“Questo momento di disaccordo non ci definisce e non ci dividerà. Non siamo elettori del “sì” o del “no”, siamo tutti australiani. Ed è come australiani, insieme, che dobbiamo portare il nostro Paese oltre questo dibattito senza dimenticare il motivo per cui lo abbiamo avuto. Abbiamo mantenuto quella promessa. Abbiamo dato il massimo. Abbiamo sostenuto questo cambiamento, non per convenienza ma per convinzione, perché è questo che i cittadini meritano dal loro governo”.
L’opposizione al Governo, capitanata da Peter Dutton, ha incolpato della disfatta il Primo ministro, in particolare per la mancanza di trasparenza e precisione sul funzionamento di “The Voice“. Tra la cause della sconfitta, infatti, si potrebbe annoverare il fatto che gli elettori non volessero che i cittadini di uno stesso Paese venissero divisi per categorie:
“Uno dei grandi attributi del popolo australiano è che ci consideriamo tutti uguali. Non importa se siete arrivati qui sei mesi fa o 60 anni fa, o se avete 65.000 anni di ascendenza in questo Paese. Siamo tutti australiani uguali. E credo che l’opinione pubblica australiana abbia respinto la proposta del primo ministro di dividerci sulla base dell’ascendenza o della razza – e questa è una grande cosa per il nostro Paese”. – Peter Dutton
I sostenitori della propaganda per il “sì”, inoltre, sottolineano come ci sarebbe stata una profonda campagna di disinformazione sui social in merito al quesito referendario, che avrebbe trascinato numerosi elettori verso le maglie del “no”; in particolare, ci sarebbe stata la convinzione, per molti elettori, che “The Voice” diventasse una terza camera parlamentare, alla pari delle altre due.
Fonti: The Sydney Morning Herald, ABC News, Open, Australian Government, Australian Bureau of Statistics
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