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Atomic Heart: le prime impressioni sullo sparatutto sovietico di Mundfish

di Riccardo Rizzo

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Atomic Heart” è uscito ufficialmente martedì 21 febbraio su Xbox Series X/S, PlayStation 5, PC, Xbox One e PlayStation 4. Il titolo sviluppato da Mundfish si presenta come uno sparatutto in prima persona con alcune meccaniche rpg, una mappa open world e un’impostazione generale che ricorda a più riprese la serie di Bioshock.

Una distopia retrofuturistica in chiave sovietica

Il primo impatto con “Atomic Heart” è semplicemente meraviglioso. Da un punto di vista grafico, su next-gen il primo progetto di Mundfish è incredibile. L’impatto generale con l’opera è davvero ottimo. D’altronde, di base il gioco punta ai 4k dinamici e 60fps, con la risoluzione che diventa nativa in alcune sequenze meno impegnative. Tuttavia, durante alcune fasi molto concitate il titolo subisce qualche calo di frame rate. Il colpo d’occhio, comunque, risulta eccezionale anche grazie a un’estetica sublime.

Atomic Heart

Atomic Heart” è ambientato in un’Unione Sovietica retrofuturistica, che dopo aver vinto la Seconda guerra mondiale ha visto uno sviluppo economico, tecnologico e industriale esponenziale. Già nel prologo possiamo ammirare l’architettura sovietica in tutto il suo splendore. Giganteschi edifici amministrativi, statue imponenti dei principali esponenti del partito e memoriali della guerra sono solo alcune delle cose che vediamo nei primi minuti di gioco. Per non parlare poi degli interni, realizzati con una cura maniacale e una ricerca attenta del dettaglio. All’interno delle strutture, ad esempio, possiamo trovare vari terminali da cui apprendere informazioni sulla lore di gioco, o leggere gli infiniti poster di propaganda sovietica. Si tratta di piccole cose, certo, ma che aumentano notevolmente l’immersione nel mondo e nella storia di “Atomic Heart“.

In particolare le vicende di gioco si svolgono nella Struttura 3826, l’immensa fabbrica di robot dell’URSS e fiore all’occhiello dello sviluppo del regime. Il protagonista è l’Agente P-3, un veterano di guerra che ora è dotato di uno speciale guanto di polimeri che gli attribuisce vari poteri elementali. Le abilità elementali si sbloccano abbastanza presto, e già nelle prime battute di gioco è possibile sbloccare i primi potenziamenti. Questi sono resi possibili grazie agli oggetti che troveremo nelle aree che andremo a esplorare. Invero, le fasi di loot risultano davvero soddisfacenti e ben realizzate, e invogliano ulteriormente il giocatore a voler esplorare ogni zona del bellissimo mondo di “Atomic Heart“.

Dubbi, certezze e frigoriferi tuttofare

Dopo un’introduzione atta a far conoscere l’ambientazione e il setting di gioco, il titolo ci catapulta nel cuore dell’azione. Non appena arriveremo nella Struttura 3826, insieme a P-3 saremo costretti a fronteggiare un vero e proprio esercito di robot fuori controllo. È in questa fase, tuttavia, che emergono i primi dubbi. Oltre ad un frame rate leggermente ballerino, “Atomic Heart” mostra alcune incertezze nelle fasi di combattimento.

Atomic Heart

Queste risultano quasi eccessivamente confusionarie e caotiche, in particolare con uno shooting non così eccezionale. Risultano molto più soddisfacenti e ben realizzati, invece, i colpi inferti con armi bianche. Il feedback trasmesso dal colpo è buono, e in generale il combattimento corpo a corpo sembra offrire più possibilità d’azione.

Inoltre, modificando e potenziando le varie armi, è possibile variare anche la tipologia di attacco, scegliendo magari un attacco ad area piuttosto che un singolo attacco caricato. Sotto questo punto di vista, il gioco sembra offrire varie possibilità di personalizzazione, sia delle abilità che dell’arsenale. Le modifiche all’arsenale in particolare, invero, hanno delle ripercussioni anche sull’estetica dell’arma, con la possibilità di modificarne le parti o aggiungere dei componenti. Il tutto poi si svolge durante l’interazione tra P-3, doppiato dall’ottimo Francesco Rizzi (tra gli altri, Deacon di “Days Gone” e Colt di “Deathloop“), e Nora, il frigorifero tuttofare presente nei vari hub di salvataggio, rendendo le fasi di personalizzazione… particolari.

Atomic Heart: è davvero un Bioshock apocrifo?

L’opera prima di Mundfish si presenta quindi come un buon prodotto, non esente da qualche difetto e piccolo bug (niente di trascendentale), che risulta comunque intrigante e affascinante. L’ambientazione unica nel suo genere, una grafica all’avanguardia (almeno su next gen), e un gameplay tutto sommato divertente, invogliano a proseguire nell’avventura dell’Agente P-3 per far luce sugli eventi del giugno 1955.

Certo, non sembra essere il nuovo Bioshock, ma forse è meglio così. È meglio, e giusto, che il gioco venga ricordato per quello che ha da offrire, per le sue potenzialità e per le sue indiscusse qualità. Come primo titolo per lo studio, “Atomic Heart” sembra essere davvero promettente, soprattutto per il futuro dell’azienda.

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