di Francesco Ferri
L’Accademia della Crusca si è espressa negativamente riguardo all’utilizzo di asterischi e schwa all’interno del linguaggio giuridico. Come riportato da Repubblica, infatti, l’Accademia ha istruito la Cassazione di non utilizzare segni che non abbiano corrispondenza nella lingua parlata. Oltre a ciò, però, ha dato il via libera all’utilizzo del femminile nel linguaggio giuridico.
La sentenza dell’Accademia
L’Accademia della Crusca si è espressa negativamente riguardo all’utilizzo, nei documenti ufficiali e nel linguaggio giuridico, di segni grafici non presenti nella lingua parlata. La Crusca ha infatti risposto ad una domanda arrivata dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione sulla parità di genere nella stesura degli atti giudiziari. In questo modo l’indicazione è diventata sentenza definitiva. Ma non si è fermata qui: l’Accademia si è anche espressa riguardo ai nomi declinati al femminile del linguaggio giuridico. Infatti “dopo approfondita discussione in seno al consiglio direttivo” la Crusca ha formalmente stabilito che si potranno usare “senza esitazione“ i termini come la magistrata, la questora, la presidente o la giudice.
No a schwa e asterischi
Oltre all’escludere categoricamente “l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato” come “l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico” (ad esempio amic*, tutt*) nel linguaggio giuridico, è anche lo schwa ad essere vietato. Infatti lo schwa dell’alfabeto fonetico internazionale, che rappresenta la vocale centrale propria di molte lingue, non è presente in italiano.
Le motivazioni
I motivi sarebbero due: il primo è che “La lingua è prima di tutto parlata, anzi il parlato gode di una priorità agli occhi di molti linguisti, e a esso la scrittura deve corrispondere il più possibile“. Il secondo motivo è che “La lingua giuridica non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto. In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è un modo di includere e non di prevaricare“.
Eliminato l’articolo davanti al nome
La Crusca si è espressa anche riguardo all’utilizzo degli articoli davanti ai nomi propri. Infatti, pur non condividendo l’idea di coloro che ritengono discriminatorio l’utilizzo dell’articolo determinativo davanti ai cognomi, ritiene che “questa opinione si è diffusa nel sentimento comune, per cui il linguaggio pubblico ne deve tener conto“. Per garantire l’informazione completa, in qualsiasi caso, quando si tratta di nomi poco noti “sarà sufficiente aggiungere il nome al cognome, o eventualmente la qualifica“. Ad esempio “la presenza di Maria Rossi” o “la presenza della testimone Rossi“.
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