A due anni di distanza dall’amata prima stagione, su Netflix torna la serie distopica giapponese “Alice in Borderland” di Shinsuke Sato. Disponibile in streaming dal 22 dicembre, la seconda stagione vedrà tornare nel cast, tra gli altri, Kento Yamazaki, Tao Tsuchiya, Nijirō Murakami, Ayaka Miyoshi e Riisa Naka. La serie è un adattamento dell’omonimo manga di Haro Aso e la prima stagione ha vantato un discreto successo su Netflix. Vediamo quindi come sono proseguite le avventure di Arisu e i suoi compagni.
La prima stagione di “Alice in Borderland” aveva catapultato Arisu (Kento Yamazaki) e i suoi amici in un mondo distopico e misterioso, nel quale l’unico modo per sopravvivere era partecipare a dei game mortali. I game corrispondevano ai semi e i numeri delle classiche carte da gioco, che andavano dall’asso al dieci. Dopo aver superato tutti i game e finito le carte da raccogliere, ci troviamo alle soglie della seconda stagione con molti dubbi ancora irrisolti: chi è il vero (o i veri?) Game Master che si cela dietro questo mondo? Come ci sono finiti? Qual è lo scopo del gioco? Raccogliere tutte le carte potrebbe davvero riportarli nel loro mondo? Ebbene, la seconda stagione offre una risposta a tutte queste domande, restando fedele alla conclusione del manga.
“Alice in Borderland 2” inizia dove la prima stagione si era conclusa, nella piazza dove i protagonisti scoprono di dover continuare a competere per le carte delle figure. I game sono di conseguenza più complessi dei precedenti, ma superarli sembra l’unico modo per saperne di più su quel mondo. L’impatto psicologico che ognuno di essi ha sui personaggi, però, porta questi ultimi ad un’importante crescita personale. Il legame tra Arisu e Usagi è sempre più stretto nonostante le disavventure che li portano spesso a dividersi; anche tra gli altri player, però, i rapporti sembrano intensificarsi nel corso degli episodi.
Alcuni ritorni inaspettati rischiano di alterare i precari equilibri raggiunti dal gruppo, che nonostante tutto continua a giocare con tutte le sue forze. Oltre a loro, Arisu deve fare i conti con il passato e i suoi sensi di colpa per la sorte di Karube e Chota nella prima stagione, per la quale non si è mai perdonato. La sfida più ardua sembra accettare la loro morte e andare avanti con una nuova ragione per vivere, mantenendo in vita anche il loro ricordo. Il tutto si intreccia così alla ricerca di risposte sul mondo in cui si trovano, che rimette in discussione persino la loro volontà di lasciarlo.
Come già menzionato, la serie Netflix è un adattamento di “Alice in Borderland” di Haro Aso, uscito dal 2010 al 2016. Al pari della prima stagione, ci troviamo davanti a un prodotto live-action che si attiene al manga, oltre che per la storia, anche per lo stile. Le inquadrature, i monologhi, i dialoghi tra i vari personaggi, tutto ricorda la lettura di un manga, così come i frequenti flashback atti a far luce sul passato dei personaggi. La disposizione di questi intramezzi si rivela più organica della prima stagione, dove si concentravano principalmente negli ultimi episodi. Qui sono presenti in numero maggiore e distribuiti in modo più equilibrato, nonostante spesso finiscano per interrompere l’azione in corso. Tornano presenti in grande quantità anche i riferimenti alla storia originale di “Alice nel Paese delle Meraviglie“; dalla natura di uno dei giochi fino a dettagli come i cespugli di rose bianche.
Il punto di forza del manga e, di conseguenza, della serie, è sempre stata la creatività dei game da giocare. Come noto, a ogni seme di carte corrisponde una tipologia di game e ad ogni numero un grado di difficoltà. In questo caso, i game legati alle figure di Fante, Regina e Re presentano un grado di difficoltà più elevato, sia a livello fisico che intellettivo e psicologico. La nuova stagione lavora soprattutto da quest’ultimo punto di vista; i game rimettono in discussione le certezze dei player, ne esternano le paure e, spesso, gli permettono di conoscere nuovi aspetti di sé stessi. Oltre alle idee sempre innovative alla base dei game stessi e delle scenografie delle arene, l’impatto psicologico di ogni sfida è forte anche sullo spettatore. Saranno anche tutti questi fattori a determinare il cambiamento dei personaggi nel corso della serie.
Una tematica che è sempre stata alla base di “Alice in Borderland” è quella della rivalsa. Ogni personaggio proviene da una vita a cui mancava qualcosa, che in qualche modo non lo appagava, ma la possibilità di rialzarsi e ricominciare era così lontana che la vita stessa sembrava aver perso tutto il suo valore. La prima stagione li aveva visti intraprendere un viaggio interiore alla ricerca di una ragione per vivere, in un mondo dove non è più possibile dare la vita per scontata. Nella seconda assistiamo alla conclusione di questo viaggio e alla riscoperta della voglia di vivere e dell’opportunità di ricominciare; un viaggio che, però, non è semplice e lineare, ma costellato di ricadute e influenze esterne.
L’interessante metafora con la vita di ogni giorno si concretizza definitivamente con il confronto tra Arisu e il suo passato, i suoi demoni e i suoi sensi di colpa, spesso usati come arma contro di lui. Il protagonista, così come Usagi, gli altri player, ma anche ognuno di noi, ha bisogno della forza di trovare una nuova ragione per vivere dopo la perdita della propria. Si tiene così a evidenziare l’importanza di avere sempre un nuovo motivo per rialzarsi e ricominciare sempre, dopo ogni caduta.
Parallelamente alla rivalsa e alla voglia di vivere, la serie esplora un altro aspetto fondamentale della natura umana, ovvero l’egoismo e la cattiveria. Se in superficie queste caratteristiche sono incarnate solo da alcuni personaggi, procedendo si nota come tutti, in realtà, si rivedano in esse, a cominciare da Arisu. Si parla di come l’uomo sia egoista per sua natura e di come il suo unico interesse sia l’autoconservazione, anche a discapito di altri. Qual è, allora, il confine tra egoismo e cattiveria? Chi è considerabile protagonista e chi antagonista? La risposta si cela dietro chi scegliamo di essere, una volta preso coscienza di chi siamo stati. A questa consapevolezza si può reagire arrendendosi e continuando ad agire consciamente allo stesso modo, covando un profondo disprezzo per sé stessi, o decidere di vivere per gli altri oltre che per sé stessi, “scegliendo la propria filosofia di vita“.
Sia nel caso della rivalsa che in quello dell’egoismo, l’analisi si rivela profonda e diretta, senza bisogno di giri di parole. Il messaggio, chiaro ed incisivo, aderisce perfettamente alla realtà di tutti i giorni. Sta ad ogni spettatore coglierlo a modo proprio e rifletterci a fondo, come la serie induce efficacemente a fare.
Come appena citato, la divisione tra protagonisti e antagonisti sbiadisce in una serie dove tutti sono vittime e carnefici. I personaggi sono estremamente vari e complessi e gli stereotipi lasciano spazio a persone in cui è possibile identificarsi. Da Arisu a Usagi, da Chishiya a Kuina, da Ann a Aguni, tutti sono estremamente caratterizzati, pur condividendo un passato difficile fuori da quel mondo e una generale disillusione verso la vita. Ogni spettatore ha la possibilità di empatizzare per loro e legarsi ad alcuni in particolare. L’elemento che però li accomuna tutti è la crescita personale che avviene nel corso degli episodi, soprattutto nei confronti diretti tra loro. Ognuno arricchisce in qualche modo l’altro, accrescendone o cambiandone gli ideali.
Riscoprire sé stessi e la vita è un processo diverso per ciascun individuo e la serie riesce a rendere le sfumature che delineano i personaggi e li differenziano in questo percorso. Non è semplice approfondire un numero così grande di personaggi senza cadere nello stereotipo e nella banalità, ma “Alice in Borderland” rende bene le loro personalità, tutte distinte e complesse, e i loro rapporti.
Come la prima stagione, “Alice in Borderland 2” si rivela molto fedele al manga originale, sia nella trama che nello stile di rappresentazione. I flashback hanno uno spazio maggiore e sono distribuiti in modo più omogeneo, contribuendo ad approfondire ogni personaggio. Procedendo con le figure aumentano complessità e la creatività dei game, che, oltretutto, incidono significativamente sulla psiche dei personaggi. Le tematiche sono sempre profonde e reali, nonché più incisive rispetto alla prima stagione. Si parla di rivalsa, del valore della vita e del ruolo della morte, ma anche di egoismo, cattiveria, natura umana e scelte. I messaggi sono diretti ed efficaci e i personaggi permettono a ogni tipo di spettatore di immedesimarsi nella serie. Le differenze e le somiglianze tra protagonisti e antagonisti lasciano ampio margine di riflessione sulle possibilità dell’uomo.
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