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Adriano l’Imperatore: un bastimento carico carico di… rimpianti

di Redazione NCI

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Adriano l’Imperatore di S.Siro. Una storia effimera, breve ma intensa. Quante speranze infrante, disattese. Quanta gloria buttata via per fragilità. Ma come tutte le storie d’amore tanto rapide e fulminanti, ha lasciato qualcosa di unico dietro di sé, qualcosa da ricordare. Una favola di vita, talmente reale da finire come nessuno avrebbe voluto, che vogliamo ricordare nel giorno del suo compleanno.

Adriano, l’Imperatore del rimpianto

I Green Day cantavano “Boulevard of Broken Dreams”, il viale dei sogni infranti. Nel cuore di ogni grande amante del calcio invece c’è una vera e propria cittadella nascosta, occulta e fortificata, dove si rincorrono i talenti inespressi, i campioni dimenticati. Un luogo senza tempo e spazio, dove si coltivano i sogni infranti e le speranze disattese.

Qui vivono e prosperano i vari Recoba, Gascoigne, Owen, Fowler, Cassano, Balotelli. Giocatori straordinari ma che non sono riusciti a dare quanto avrebbero effettivamente potuto, sia per problemi fisici che, soprattutto, per mancanza di attitudine al sacrificio o demoni interiori. Su tutti questi se e ma tuttavia, uno spicca in particolar modo. A regnare su questa “dimensione oscura” del rimpianto c’è lui: Adriano Leite Ribeiro, l’unico e solo Imperatore di Milano.

 

 

Unico e inimitabile

Adriano è sempre stato qualcosa di unico nel suo genere, lo ha nel DNA. Prima di lui non si era mai visto, nemmeno mai immaginato, nulla di simile. Movenze e dribbling da funambolo circense quel corpo da Marcantonio. Un sinistro magico, capace di tocchi fatati, di carezze dolcissime, così come di bordate clamorose, al “fulmicotone”. Quel piedone alla Bud Spencer era capace di suonare una sinfonia o di scatenare un uragano. Senza mezze misure, senza compromessi. Ecco com’era l’Imperatore. Il prototipo del giocatore perfetto. Tuttavia, purtroppo, come tutti i prototipi, aveva qualche difetto. Perché se è vero che l’impianto hardware era da oscar, il software di gestione era molto più fragile e “capriccioso”.

O meglio, sensibile. Un colosso con la testa di un bambinone cresciuto troppo in fretta. Perdere il padre ed in un amen diventarlo tu stesso non deve essere mai facile, figuriamoci per quel ragazzone di 18 anni che stava cominciando a prendersi le sue prime rivincite dopo una vita di privazioni. Cancellare ogni colpa non avrebbe senso, ma non dimentichiamo anche le responsabilità, oltre quelle di Adriano, di una società come l’Inter, incapace di preservare e coccolare un patrimonio del genere. Sarebbe bastato, forse, stargli vicino, cercare di farlo guarire dai propri demoni, dalle proprie paure. Le attenuanti in questa storia, se proprio vogliamo darle, se le merita la vera vittima, il povero Imperador.

Sliding doors

Tutti quando ricordano ad Adriano pensano a quella sgroppata da sogno contro l‘Udinese o alla magica punizione al Bernabeu. Alla vibrante traversa di Palermo, a quel suono terrificante quando la palla la colpì. Tuttavia il vero spartiacque della sua carriera fu molto probabilmente un altro.

Nella stagione 2008/2009 l’Inter di José Mourinho cercava una svolta europea che sarebbe arrivata solamente la stagione successiva. All’Old Trafford, sotto di un goal contro i Red Devils di Cristiano Ronaldo e Rooney, i nerazzurri cercano disperatamente una rete per la qualificazione. In campo, oltre a Ibrahimovic, c’è quel colosso brasiliano che, nonostante le bizze e la discontinuità, è impossibile non amare. Sotto la guida dello Special One sembra sul punto di rinascere e, sebbene appesantito, è tornato ad inanellare goal e giocate spettacolari. Non è più leggiadro come agli esordi certo, ma sembra tornato su grandi livelli, con anche la rete decisiva nel derby all’attivo. Tutti si aspettano molto da quel duo delle meraviglie li davanti.

 

Adriano

 

E la palla buona arriva, a metà secondo tempo. Scavetto di Ibra per l’imperatore. Il lancio non è dei più semplici da gestire, il brasiliano è sbilanciato e marcato molto stretto da Vidic, è quasi impossibile coordinarsi con precisione. Adriano ci prova lo stesso, l’Inter ha bisogno di lui. Si inventa una mezza rovesciata con un gesto tecnico meraviglioso e… palo. Palo. Milioni di attese, speranze e urla strozzate in gola. Lo specchio perfetto della sua carriera, della sua vita: un eterno fiato sospeso che non viene mai davvero liberato, che si schianta con la durezza della realtà. L’Inter deve rimandare ancora l’appuntamento con la Champions. L’Imperatore invece rimanda definitivamente l’appuntamento con la propria carriera. Chissà come sarebbe andata se quella palla maledetta fosse entrata.

Adriano, una favola senza lieto fine… o forse no?

Quella fu la fine della favola del conquistatore arrivato dal Brasile. Fu la mazzata decisiva per il suo fragilissimo equilibrio, il colpo di grazia alla sua redenzione. La sua carriera cominciò la parabola discendente che lo portò lontano dai colori nerazzurri. Adriano è, e probabilmente resterà sempre, il più grande rimpianto della storia non solo dell’Inter, ma anche del calcio mondiale.

Sarebbe potuto essere qualcosa di leggendario e impareggiabile, ma di leggendario è rimasto solo il rimpianto di ciò che sarebbe potuto essere. Un “what if” senza precedenti, dovuto principalmente alla fragilità mentale di un ragazzo messo di colpo in una situazione troppo pesante per lui. Ora è l’Imperatore di quel castello nel cuore di ogni amante del calcio, ricordato con affetto, oltre che rimpianto, nonostante tutto.

 

Adriano

Adriano (@Shutterstock)

 

Niente lieto fine quindi? Forse. Forse era solo il mondo in cui era finito a essere sbagliato per lui. La ribalta improvvisa, le attese spasmodiche, l’ansia ogni momento, le enormi aspettative, erano come una prigione. Non era una vita che faceva al caso suo, così semplice e bonario. Ora, senza pensieri e problemi, sembra finalmente sereno, libero dalle catene che lo avevano rovinato in Europa. Buona fortuna allora Imperatore. Anche senza vincere nessuna guerra hai conquistato il cuore di milioni di persone. Campione della gente, questo si che è un titolo da portare con onore.

 

 

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di Pietro Magnani

 

 

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