di Lorenzo Scorsoni
Il Garante per la privacy ha temporaneamente sospeso l’uso di ChatGPT in Italia. Ma perché è stata presa questa decisione e cosa succede ora? L’intento è quello di tutelare i dati degli italiani, limitando il loro trattamento da parte dell’azienda statunitense OpenAI, proprietaria del software di intelligenza artificiale relazionale.
ChatGPT, bloccata dal Garante della privacy
Il Garante per la protezione dei dati personali ha deciso di bloccare ChatGPT: arriva quindi lo stop al modello di chatbot basato sull’intelligenza artificiale. Si tratta di una sospensione temporanea, che resterà in vigore fino a che non verranno sistemati i termini di utilizzo in materia di privacy. Una delle maggiori preoccupazioni è proprio la mancanza di direttive precise sulla gestione dei dati degli utenti. A tal proposito, come riportato da SkyTG24, il Garante avrebbe anche aperto un’istruttoria.
L’autorità avrebbe infatti rilevato “Una mancanza di una informativa agli utenti e a tutti gli interessati i cui dati vengono raccolti da OpenAI, ma soprattutto l’assenza di una base giuridica che giustifichi la raccolta e la conservazione massiccia di dati personali, allo scopo di “addestrare” gli algoritmi sottesi al funzionamento della piattaforma”.
Le violazioni: attesa la risposta da OpenAI
Inoltre, evidenzia il Garante, i risultati di alcune recenti verifiche dimostrano che le informazioni fornite dalla piattaforma non sempre corrispondono al dato reale. Il che comporta il rischio, che sarebbe stato più volte evidenziato, di un trattamento dei dati personali non corretto. Ci sarebbe anche un problema legato al limite di età: il servizio è infatti rivolto solo ai maggiori di 13 anni. Non esiste, tuttavia, un filtro che permetta di verificare l’età degli utenti, rendendo di fatto la piattaforma accessibile a tutti.
OpenAI ha soltanto 20 giorni per comunicare le misure prese in risposta alle richieste del Garante. La società americana non ha una sede nell’UE ma ha comunque un rappresentante all’interno dello Spazio economico europeo che probabilmente si rapporterà con l’Autorità italiana. Nel caso in cui la società che gestisce ChatGPT non dovesse rispondere a quest’obbligo, rischierebbe una sanzione fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del suo fatturato globale annuo.
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