Fin dalle sue origini, il videogioco è considerato da molti come un semplice mezzo di intrattenimento, come un mero passatempo. Eppure, il medium videoludico è molto di più. Non solo ha una forte valenza artistica, ma ha anche un ruolo centrale nella salute e nel benessere mentale. Ormai da qualche anno, infatti, a partire dagli Stati Uniti, si è diffuso un nuovo modo per fare terapia. Un modo che punta ad affiancare i videogiochi ai percorsi terapeutici più tradizionali: la Video Game Therapy.
La Video Game Therapy (VGT) è un supporto, un aiuto sia per il paziente che per il terapeuta. Grazie al videogioco, il paziente può rilassarsi e manifestare delle emozioni inconsce, mentre il terapeuta può percepire degli elementi che altrimenti rimarrebbero sotto-soglia. Durante le sessioni di terapia, il videogioco viene sfruttato per creare un legame tra il paziente e lo psicoterapeuta, che insieme condividono le emozioni e le sensazioni del gioco di turno.
Questo può variare da caso a caso, in base alle esigenze e alle passioni del paziente. Praticamente ogni titolo, invero, può essere usato per la Video Game Therapy, anche quello più commerciale. Spesso in realtà si opta proprio per i titoli mainstream, qui approcciati con un nuovo punto di vista. In psicologia si parla di Serious Gaming, il “giocare seriamente”, che si riferisce appunto all’approccio terapeutico verso i videogiochi di massa come Life is Strange, Alan Wake 2, Hellblade: Senua’s Sacrifice, Animal Crossing e The Last of Us.
A questi si contrappongono i Serious Game, dei videogiochi sviluppati appositamente per uno scopo educativo o terapeutico. Il loro problema però è che molte volte non sono sviluppati e concepiti da appassionati, ma da ricercatori o studiosi, e quindi presentano solamente la componente di apprendimento, dimenticandosi quella prettamente ludica. Ma quindi in base a cosa si sceglie un videogioco piuttosto che un altro?
La scelta del videogioco è fondamentale per la Video Game Therapy, e deriva dagli obiettivi della terapia e dalla diagnosi del paziente. Animal Crossing, per esempio, può essere sfruttato per rilassarsi e calmarsi da una situazione d’ansia. Un horror come Resident Evil o Alan Wake per superare le proprie paure e abituarsi alle situazioni ansiogene. I giochi narrativi, come The Last of Us, permettono di riconoscersi nei protagonisti e nelle loro storie. I giochi di ruolo, come Baldur’s Gate 3 o The Elder Scrolls V: Skyrim, insegnano al giocatore a riconoscere i propri errori, potenziando la sua consapevolezza e facendogli comprendere che ogni decisione ha delle conseguenze.
Un altro elemento chiave nella scelta del videogioco è capire se il paziente è un giocatore o meno. Se è già un gamer, di fatto, non solo comprenderà più velocemente le meccaniche di gioco, ma probabilmente comprenderà più facilmente anche i benefici della VGT. Il rischio per coloro che non sono dei videogiocatori, specie se di età adulta, è di avere dei pregiudizi e delle diffidenze.
Come accennato in apertura, la Video Game Therapy nasce negli Stati Uniti, dove ancora oggi prospera grazie al lavoro di J.J. Bouchard e dei suoi colleghi del Mott Children’s Hospital di Ann Arbor, Michigan. Per comprendere meglio il lavoro di Bouchard e la Video Game Therapy abbiamo fatto qualche domanda al dottor Marco Lazzeri, che tra le tante attività di cui si occupa sta anche collaborando attivamente con PlayStation Italia.
Il dottor Lazzeri ci ha spiegato che «Bouchard e i suoi collaboratori hanno trasformato Pokémon Go in un dispositivo utile per far socializzare i pazienti e permettere loro di fare fisioterapia». Il suo lavoro però non si limita a questo: al Mott Children Bouchard sfrutta anche la realtà virtuale. L’immersione in ambienti virtuali totalizzanti aiuta infatti a rilassarsi, a ridurre l’ansia e la percezione del dolore; ma permette anche di misurare la diminuzione dello stress e di raccogliere dei dati che poi vengono forniti alla struttura ospedaliera per adattare la terapia alle esigenze dei pazienti.
All’estero tuttavia la situazione è ben diversa. In Italia «purtroppo siamo sempre indietro su molte cose. Molto spesso, nonostante le nostre eccellenze, siamo restii a osare… vuoi per paura, tempi pachidermici o a causa dei pregiudizi». La questione, in realtà, è molto complessa anche negli Stati Uniti. I campus medici di Springfield, Missouri, per esempio, hanno espressamente chiesto di non usare Pokémon Go tra le mura ospedaliere per non compromettere il lavoro dei medici e infastidire i pazienti.
A tal proposito però lo stesso Bouchard ha proposto una soluzione, affermando che «noi abbiamo sistemato dei segnali di fronte ai Pokéstop. I cartelli spiegano ai giocatori che possono scattare una fotografia ma di stare attenti a non immortalare chi non fa parte della propria famiglia».
In Italia la Video Game Therapy si è sviluppata solo di recente, grazie soprattutto al lavoro del dottor Francesco Bocci, che nel 2019 ne ha definito il funzionamento e gli obiettivi. Attraverso il videogioco, ha spiegato lo psicologo, «si crea un percorso che ha come obiettivo quello di permetterti di concentrarti su te stesso, su chi sei nel profondo, attraverso l’espressione libera di ricordi, emozioni e pensieri spesso rimossi. Tutto questo a prescindere dal giudizio degli altri. Il videogioco è infatti un concentrato di luci, suoni, colori, musica e immagini che, se guidato, può permetterti di sfogarti, di riscoprire la tua creatività, di ricordarti chi sei veramente».
A causa tuttavia dei già citati pregiudizi, e di una generale tendenza conservatrice nei confronti della terapia, la strada da fare è ancora lunga. Oltre alle iniziative del dottor Bocci presso l’Associazione Psicologi della Lombardia (APL) per la formazione relativa alla Video Game Therapy e alla letteratura di settore, le attività sono ancora relativamente poche. Il dottor Lazzeri ci spiega però che nutre comunque molte speranze, confidando specialmente nelle potenzialità della realtà virtuale.
«Sebbene in Italia la Game Therapy sia ancora conosciuta da pochi esperti del settore, le sue potenzialità terapeutiche sono a dir poco notevoli. Io ritengo che l’evoluzione naturale di questa nuova terapia sia proprio la realtà virtuale, o virtual reality. Nonostante sia uno strumento ancora di nicchia, sono già presenti numerosi studi che dimostrano come la realtà virtuale sia efficace in numerosi contesti educativi, clinici e sanitari. A proposito dei primi due punti mi piace sempre portare due esempi concreti: la Scuola elementare Kennedy di Bresso e IDEGO».
In particolare quest’ultima è probabilmente la più conosciuta. Si tratta di «una realtà ormai affermata nel mercato italiano e che, da quando è nata nel 2016, ha dato una notevole spinta agli utilizzi della realtà virtuale dal punto di vista clinico. Di realtà simili a essa ne esistono altre, ma la più conosciuta (forse) rimane lei».
Grazie al lavoro di tutti gli studiosi della Video Game Therapy, inoltre, anche le aziende videoludiche si stanno interessando alla questione. In particolare, la divisione italiana di PlayStation ha iniziato a lavorare a stretto contatto con gli psicologi, tra cui lo stesso dottor Lazzeri, per fornire assistenza e supporto tecnico.
«È una bella responsabilità quella che sento, ma non ho paura di affrontare certe sfide… anzi trovo la loro realtà molto stimolante. Da quando mi sono relazionato inizialmente con Raffaele Zeppieri, Marco e Saletta e infine con Tiziana Grasso ho capito una cosa: finalmente ecco un posto fatto di persone con mentalità aperta! Potevano dirmi subito di no, ma non lo hanno fatto e per questo motivo li ringrazierò sempre. Ci vorrà del tempo, ma il tempo non mi manca!».
Insomma, negli anni il medium videoludico ha dimostrato di non essere solo un mezzo di intrattenimento. Oltre alle indubbie potenzialità artistiche, i videogiochi si sono rivelati un ottimo strumento anche per fare terapia. Ovviamente il processo sarà ancora lungo e complesso, ma la speranza è che sempre più istituzioni si aprano alle possibilità offerte dalla Video Game Therapy.
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