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Verona: “caporali” indiani sfruttano 33 braccianti connazionali; avviate le indagini dalla GdF

di Lorenzo Peratoner

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Sfruttati per 12 ore al giorno, 7 giorni su 7, e costretti ad abitare all’interno di case fatiscenti; questo il quadro che è emerso dalle indagini della Guardia di Finanza, che, dopo diverse settimane di appostamenti per rivelare le condizioni lavorative di 33 cittadini indiani, ha permesso di smascherare un giro di sfruttamento lavorativo capeggiato da due caporali indiani residenti a Cologna Veneta.

L’adescamento e il sequestro di passaporti per costringere al silenzio

Secondo le indagini e le testimonianze dei lavoratori coinvolti, i due caporali avrebbero adescato una serie di connazionali con la pretesa di migliorare le loro condizioni di vita una volta giunti in Italia, con l’emissione di annesso permesso di lavoro stagionale. In cambio, tuttavia, avrebbero dovuto fornire 17mila euro a testa ai caporali.

Il quadro idilliaco venduto dai due sfruttatori, tuttavia, si è rivelato un vero e proprio incubo. Una volta giunti in Italia, infatti, i due soggetti indiani avrebbero immediatamente sottratto i passaporti dei braccianti, avanzando altresì minacce, diventate anche realtà secondo le testimonianze, alla loro integrità fisica in caso di fuga dalle case fatiscenti dove sarebbero stati costretti a vivere.

Le condizioni di lavoro e l’indebitamento dei braccianti

La giornata di lavoro, dalla durata compresa tra le 10 e le 12 ore, iniziava all’alba, con il trasporto dei braccianti, ammassati e nascosti tra le cassette di ortaggi, mediante dei mezzi telonati; la loro direzione erano le campagne della Bassa veronese. Sulla carta la paga oraria promessa dai caporali era di 4 euro, tuttavia il compenso sarebbe stato trattenuto fino alla totale estinzione del debito.

La maggior parte dei braccianti coinvolti, per sobbarcarsi i 17mila euro richiesti, ha dovuto infatti impegnare i propri beni di famiglia, arrivando addirittura, in alcuni casi, a indebitarsi direttamente con i due indiani. Una volta estinto il debito, tuttavia, ci sarebbe stata un’altra fonte di sfruttamento; i caporali, infatti, avrebbero richiesto ad alcuni braccianti ulteriori 13mila euro, con lo scopo di fornire loro un permesso di lavoro definitivo.

Le perquisizioni della GdF e il destino dei braccianti sfruttati

I finanzieri hanno proceduto con la perquisizioni di tre alloggi situati a Cologna Veneta, di proprietà dei due soggetti indiani, dove le forze dell’ordine hanno potuto appurare le degradanti condizioni igienico-sanitarie che i braccianti hanno dovuto sostenere. In seguito all’identificazione dei 33 lavoratori sfruttati, privi di documenti d’identità, sono emersi i loro racconti di sostanziale sfruttamento e costante maltrattamento.

Le autorità hanno affidato gli uomini in questione ai servizi sociali, garantendo loro sicurezza da eventuali ritorsioni, nonché l’avvio di una strada verso nuovi percorsi lavorativi e di integrazione sociale. I 33 lavoratori hanno ricevuto indietro i passaporti, mentre gli enti giudiziari hanno dato altresì inizio all’iter per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia.

Nel corso delle operazioni, la Guardia di Finanza ha requisito 475mila euro di beni di proprietà dei due caporali, i quali erano titolari di una serie di ditte attive in ambito agricolo, ma ufficialmente senza lavoratori all’attivo e in uno stato di totale evasione fiscale. I due sono ora indagati per riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù e intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, mentre si allargano le indagini anche verso altre realtà aziendali analoghe, sospettate di aver ricevuto manodopera a basso costo dai due titolari indiani.

Fonte: VeronaSera

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