di Redazione Network NCI
Gli anime sono da decenni una delle fonti di intrattenimento più amate dal pubblico. La loro varietà di storie permette a molti dei fan di trovare un loro preferito, accontentando praticamente tutti i gusti. Ma alcuni elementi sono comuni a molte di queste storie. Nella classifica di oggi, andiamo ad esaminarne una: i villain. Stileremo infatti una classifica dei villain più odiati dal fandom. Doveroso avvisarvi che ci saranno spoilers riguardo ogni singolo anime che verrà menzionato in ogni posizione della classifica.
Top 6 Villain degli anime più odiati
Numero 6: Gendo Ikari – Neon Genesis Evangelion
Nel panorama degli anime, pochi personaggi sono riusciti a incarnare in modo così disturbante il concetto di genitore assente e manipolatore emotivo come Gendo Ikari. Non ha bisogno di pugni o poteri per lasciare un segno profondo: basta il suo silenzio, il suo sguardo tagliente da dietro le mani incrociate e una totale incapacità di amare nel modo giusto. Gendo è il comandante della NERV, l’organizzazione che guida la lotta contro gli Angeli nel mondo devastato di Evangelion. Ma al di là della sua carica, è anche il padre di Shinji Ikari, e qui iniziano i problemi. Dopo aver abbandonato il figlio da piccolo, lo richiama anni dopo solo per costringerlo a salire su un Eva, un’enorme macchina da guerra biologica, senza spiegazioni, senza conforto, senza affetto.
Nel corso della serie, Gendo si rivela sempre più distante, freddo, calcolatore. È ossessionato dal voler ricongiungersi con la moglie morta, Yui, a tal punto da usare suo figlio come pedina, spremendolo emotivamente e psicologicamente in una spirale di dolore. Tutto questo viene compiuto con una calma glaciale e un’autogiustificazione filosofica inquietante: per lui, il fine giustifica ogni mezzo, anche spezzare l’anima del proprio figlio. Ma ciò che rende Gendo così odiato non è solo ciò che fa, ma ciò che non fa. Non abbraccia mai Shinji. Non gli parla sinceramente. E soprattutto, non cerca un minimo di riconciliazione finché non è troppo tardi. È un simbolo del danno silenzioso che può fare un adulto incapace di comunicare e amare. E in una serie già carica di psicodramma esistenziale, Gendo è la miccia silenziosa di tutto quel dolore. Nel finale del rebuild, otteniamo finalmente una sorta di confronto e chiarimento, ma per molti fan, il danno è già stato fatto. Gendo è l’anti-padre per eccellenza: non esplode mai, ma implode dentro, e porta con sé anche tutti gli altri.
Numero 5: Ragyo Kiryuin – Kill la Kill
Nel mondo esagerato, frenetico e altamente simbolico di Kill la Kill, dove abiti senzienti e combattimenti assurdi si intrecciano a temi di oppressione e identità, Ragyo Kiryuin si staglia come una figura inquietante e disturbante. È una delle incarnazioni più velenose e tossiche della maternità mai viste in un anime. Presidente della potentissima Revocs Corporation e madre delle protagoniste Ryuko e Satsuki, Ragyo non è semplicemente un’antagonista con un piano di dominio globale. È un’aristocratica megalomane che si considera al di sopra dell’umanità, e che vede i suoi stessi figli come esperimenti da plasmare, smembrare e sacrificare. Il suo vero obiettivo è fondere l’umanità con i Life Fibers, creature aliene che si nutrono degli esseri umani, per creare una nuova specie sotto il suo controllo. Ma quello che la rende così odiata non è solo la portata del suo piano, bensì la perversione del ruolo materno. Ragyo non ha solo manipolato geneticamente le sue figlie, ha anche abusato fisicamente di Satsuki fin dalla tenera età (una scena allusiva e disturbante ce lo mostra con freddezza assoluta), e ha tentato di distruggere completamente la personalità di Ryuko, sua figlia segreta, che aveva abbandonato da bambina dopo un esperimento fallito.
A differenza di molti villain che mostrano almeno un briciolo di umanità, Ragyo è completamente disumana nella mente e nell’anima. Ride mentre schiaccia la volontà altrui, si pavoneggia con parole solenni che trasudano disprezzo, e non mostra mai il minimo rimorso nemmeno davanti alla morte. Anzi, si suicida gloriosamente, come se la distruzione fosse il suo ultimo capolavoro estetico. Esteticamente scintillante, ambigua nella sua fluidità di genere e sessualità, Ragyo incarna l’estremo opposto della cura materna. È il “genitore divino” che decide chi vive, chi muore, e chi può valere qualcosa e lo fa con il sorriso sprezzante di chi non ha mai provato empatia. Non sorprende che per molti spettatori sia uno dei personaggi più visceralmente detestati dell’ultima decade: non si redime, non si scusa, non cambia. È marcia fino al midollo. Anzi, fatta letteralmente di tessuto alieno che si nutre dell’umanità. E quella metafora, di un’autorità parentale che divora, invece di proteggere, è più reale di quanto si voglia ammettere.
Numero 4: Sosuke Aizen – Bleach
Tra tutti i villain degli anime shonen, Sosuke Aizen si distingue per una qualità che non urla, non uccide in modo spettacolare, non infierisce con rabbia. La sua arma più letale è il controllo assoluto: sulle menti, sugli eventi e persino sulla narrazione stessa. È il burattinaio dietro tutto ciò che non funziona nel mondo di Bleach, e il pubblico lo detesta per questo: non perché è rumoroso, ma perché è troppo calmo. Troppo lucido. Troppo perfetto. All’inizio della serie, Aizen appare come un modello di virtù: capitano della Quinta Divisione, amato e rispettato, sempre gentile, sempre presente. Ma questa maschera cade in frantumi quando si rivela l’artefice nascosto dietro numerosi eventi chiave: tradimenti, omicidi, guerre spirituali e persino la creazione degli Hollow più pericolosi. Il tutto orchestrato senza mai alzare la voce, senza mai sporcarsi le mani più del necessario.
Il vero orrore di Aizen sta nel fatto che non fa nulla per odio. Non è mosso da vendetta, sofferenza o follia. Vuole solo superare gli dei. Diventare qualcosa di più. Per lui, l’umanità è una tappa evolutiva, non una condizione morale. Tutto ciò che fa nasce dal desiderio gelido di potere, e dalla convinzione che solo lui sia degno di ottenerlo. Uno degli aspetti che alimentano l’odio dei fan nei suoi confronti è proprio la sua invulnerabilità narrativa. Ogni scontro con Aizen sembra già perso in partenza: grazie alla sua Suigetsu, può manipolare completamente i sensi dell’avversario, facendo credere qualunque illusione. In pratica, la realtà non esiste più se Aizen decide altrimenti. E questo lo rende frustrante, onnipotente, intoccabile. Perfino quando viene finalmente sconfitto da Ichigo, Aizen non si umilia, non crolla, non implora. Guarda in faccia la sconfitta con lo stesso sguardo altezzoso con cui aveva guardato tutto il resto. Persino in catene, resta superiore, enigmatico, compiaciuto. Ecco perché è così odiato: perché è il villain che non scivola mai nel cliché del cattivo pazzo o crudele. Non urla, non sanguina, non si sporca. È l’intellettuale del male. Il dio che si fa uomo solo per disprezzare meglio gli altri uomini. E nel farlo, lascia dietro di sé una lunga scia di dolore e di spettatori con il sangue amaro.
Numero 3: Akainu – One Piece
Nel vasto oceano narrativo di One Piece, popolato da pirati dal cuore d’oro, antieroi tragici e idealisti rivoluzionari, Akainu brilla come una delle figure più glaciali e implacabili dell’intera saga. Un paradosso vivente: magma incandescente fuori, anima più fredda dell’acciaio dentro. Sakazuki, meglio noto con il suo nome da ammiraglio Akainu, è la personificazione della giustizia assoluta, un dogma secondo cui ogni crimine va punito senza eccezioni, compromessi o sentimenti. È il tipo di figura autoritaria che vede il mondo in bianco e nero, senza spazio per sfumature. E in un’opera che ha sempre celebrato la libertà e la complessità morale, Akainu è l’antitesi più feroce possibile dell’etica di Luffy. Il suo gesto più famoso odiato è ormai parte della memoria collettiva degli appassionati: l’uccisione di Portgas D. Ace durante la Guerra di Marineford. Non è solo l’atto in sé a ferire: è il modo in cui viene compiuto. Con freddezza calcolata, Akainu sfrutta una provocazione verbale per indurre Ace a voltarsi, esponendosi al suo letale pugno di magma. Non combatte per onore, ma per distruggere l’identità del nemico. Per schiacciarlo anche spiritualmente. Ace muore tra le braccia di Luffy, che assiste impotente, spezzato. È un momento di trauma collettivo per l’intero fandom, un crimine quasi mitico che ha definito il tono più cupo della seconda metà della serie. E da allora, il nome di Akainu è sinonimo di odio, dolore, e vendetta non ancora soddisfatta.
Ma la brutalità di Sakazuki non finisce lì. È stato responsabile di ordini spietati, come il massacro dei civili a Ohara, dove ha dato l’ordine di affondare anche le navi di chi fuggiva, pur di eliminare ogni traccia del sapere proibito. E quando assume il ruolo di Gran Ammiraglio, trasforma la Marina in una macchina ancora più rigida e inflessibile, soffocando ogni spiraglio di umanità rimasta nelle forze governative. Ciò che lo rende ancora più detestabile è che non è mosso dal caos o dalla sete di potere personale. È convinto di fare la cosa giusta. Nella sua visione distorta, è il paladino di un mondo perfetto, in cui la giustizia si impone con la forza, e il perdono è debolezza. Questo fanatismo lo rende un personaggio freddamente coerente, e per questo ancora più terrificante. Akainu non è un mostro irrazionale: è un burocrate dell’Apocalisse. Un uomo che ha trasformato l’ordine in oppressione, e che si nasconde dietro una parola nobile per giustificare l’omicidio. Il magma con cui combatte non è solo un potere visivo spettacolare: è la metafora della sua ideologia distruttiva, che brucia tutto ciò che non si piega.
Numero 2: Griffith – Berserk
Ci sono villain che si odiano perché crudeli. Altri perché arroganti, ipocriti, spietati. Ma Griffith rappresenta qualcosa di diverso, di più viscerale: è il tradimento personificato. Il tradimento dei sogni, dell’amicizia, dell’amore. E per questo, pochi nomi evocano reazioni tanto forti quanto il suo tra gli appassionati di anime e manga. Griffith era il carismatico leader della Squadra dei Falchi, un gruppo di mercenari che, grazie alla sua guida strategica e al suo fascino regale, riuscì a scalare vertiginosamente le gerarchie militari e sociali del Regno di Midland. La sua visione era limpida, quasi messianica: creare un regno tutto suo, costi quel che costi. Era disposto a combattere, a sacrificare, a comandare. Ma nessuno avrebbe mai immaginato quanto sarebbe stato disposto a sacrificare. Il punto di non ritorno arriva con l’Eclissi. In una delle sequenze più scioccanti, disturbanti e devastanti della storia dell’animazione e del fumetto, Griffith, dopo aver perso tutto e la prigionia, attiva il Behelit, l’amuleto che lo lega al destino degli dei malvagi noti come Mano di Dio. E accetta il patto: offrirà in sacrificio tutto ciò che gli era caro, i suoi compagni, i suoi amici, persino Guts e Casca, i due esseri umani che più lo avevano amato, in cambio della divinizzazione. Quella scena non è solo brutale. È intollerabile. Griffith non uccide semplicemente i suoi compagni: li offre al massacro, osservando con indifferenza i loro corpi dilaniati. E a coronare il tutto, violenta Casca davanti a Guts immobilizzato, come ultimo gesto di dominio, potere e distruzione. Un crimine che non ha più nulla di umano. Solo orrore puro.
Ma ciò che rende Griffith così profondamente detestabile è la complessità emotiva con cui è costruito. Non è un villain che odi dall’inizio. È uno per cui hai tifato. Che hai ammirato. Che sembrava un faro di eleganza, razionalità e forza in un mondo brutale. Lo hai visto salvare vite, ispirare fedeltà, commuoversi, e poi, lo hai visto spegnere tutto, tradire ogni principio, e scegliere sé stesso sopra ogni altro. La sensazione che lascia è una ferita morale. Eppure, Griffith non è cieco. È consapevole di ciò che fa. Non chiede perdono. Non cerca giustificazioni. Anzi, va avanti con una calma glaciale, diventando il bellissimo, silenzioso dio di un nuovo mondo costruito sui cadaveri dei suoi amici. Il suo fascino non è svanito: ora è solo più inquietante. La sua bellezza, il suo controllo, il suo distacco divino fanno da maschera alla più grande delle empietà. E proprio per questo, è l’incarnazione dell’odio eterno per chi ha amato e poi distrutto. Griffith non è solo il villain più odiato di Berserk. È uno dei personaggi più intensamente disprezzati dell’intera narrativa giapponese moderna. Non per il male che fa, ma per la fiducia che tradisce. Perché ci hai creduto. E lui ti ha guardato, con occhi da falco, mentre ti lasciava morire.
Numero 1: Shou Tucker – Fullmetal Alchemist
Nel vasto universo di Fullmetal Alchemist, un anime che esplora temi come il sacrificio, la perdita e il valore della vita umana, pochi momenti hanno lasciato cicatrici emotive così profonde nei fan quanto la scoperta della chimera parlante di Shou Tucker. Eppure, a livello di screen time, Tucker compare in appena un paio di episodi. Non serve di più. Il suo crimine è così ripugnante, così innaturale, che bastano pochi minuti per scolpire il suo nome nell’odio eterno del fandom. Shou Tucker è presentato inizialmente come un alchimista dello Stato tranquillo, gentile, un po’ goffo. Vive con la sua adorabile figlia Nina e il cane Alexander, in una casa modesta piena di libri. È subito simpatico, familiare, quasi fragile. Dice di aver perso la moglie, e di essere sotto pressione per rinnovare la sua licenza di alchimista. Ti viene naturale provare empatia per lui. Ed è proprio questo che rende il colpo ancora più crudele. Quando i fratelli Elric scoprono il segreto che Tucker ha nascosto nel suo laboratorio, l’atmosfera cambia all’istante. La nuova chimera che parla è il frutto della fusione tra Nina e Alexander. Tucker ha letteralmente sacrificato sua figlia e il suo cane per creare una chimera senziente, solo per non perdere il suo posto. Non per salvare il mondo. Non per scoprire verità alchemiche. Per un incarico statale. La rivelazione è devastante. Non solo per Edward, ma per ogni spettatore. La crudeltà dell’atto è amplificata dall’innocenza delle vittime. Nina, una bambina dolce e affettuosa, che voleva solo giocare con i suoi fratelloni. Alexander, il cane fedele. L’orrore è reale, senza filtri, e Fullmetal Alchemist non ha paura di mostrarne le conseguenze emotive.
E poi c’è lui, Shou Tucker, che non chiede scusa. Anzi, cerca di giustificarsi. Il suo sguardo non è malvagio: è vuoto. Clinico. Disumanizzato. È l’emblema dell’intellettuale che ha perso l’anima nel nome del progresso. Ed è per questo che fa tanto male. Tucker non è un tiranno, un soldato, un folle. È un uomo ordinario, con la voce pacata, che ha scelto il calcolo invece del cuore. E lo ha fatto con la figlia. Il fandom non lo ha mai perdonato. Meme, vignette, citazioni: tutto ruota attorno a quel momento. Per molti, è il punto di non ritorno emotivo della serie. Una ferita aperta. Una lezione su ciò che può succedere quando l’ambizione supera l’umanità. Shou Tucker non è il villain più potente, né il più presente. Ma è senza dubbio uno dei più odiati. Perché ci mostra che il male più profondo non ha bisogno di eserciti o magie. Basta un uomo solo, una scelta orribile e una bambina con gli occhi pieni di fiducia.
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Articolo di Lorenzo Giorgi
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