Il mondo sapientemente plasmato da CD Projekt RED sulla meravigliosa base dei libri di Andrzej Sapkowski, è incredibilmente simile al nostro, molto più di quanto sembri. Tolti i mostri, le streghe ed i maghi, il problema di fondo rimane sempre lo stesso: la diversità. Da quando l’uomo ha iniziato a scendere dagli alberi e a prendere coscienza di sé, ha sempre avuto paura verso chi non era simile a lui, fino a scatenare guerre, massacri, persecuzioni.
L’unione sotto un unico vessillo è sempre stata la massima aspirazione di una razza incapace di coesistere con sé stessa, figuriamoci con le altre. Per questo la saga dello strigo è un perfetto spaccato della società moderna; che siano elfi, nani, mostri, witcher o persone con un colore di pelle differente, l’essere umano è intrinsecamente portato a fargli la guerra. Ma, come da sempre accaduto anche nella storia reale dell’umanità, alcuni individui spiccano, rompendo le catene che da sempre cingono la nostra razza.
In questo cammino tanto contorto e doloroso, una figura emerge in tutto il suo splendore nel suo apice finale: Geralt di Rivia. Lo strigo per eccellenza, eroe e carnefice, martire e boia, padre e figlio. Il Lupo Bianco, colui che cammina nella sottile striscia grigia, tra luce e tenebra, per proteggere e servire, per mantenere un equilibrio che forse non è nemmeno mai esistito. Il suo personaggio vive una maturazione clamorosa, sia nei libri che, soprattutto, nell’ultimo capitolo della saga videoludica.
Geralt, a differenza di quanto pensano tutti nel suo mondo, non è un’ottusa belva assetata di sangue, buona solo ad uccidere mostri come lui. È acuto, intelligente, acculturato, sensibile. Anche se le mutazioni dovute alla sua trasformazione in Witcher lo hanno reso apparentemente impassibile, dentro soffre enormemente per il dolore delle persone che ama. Piange per amore, esulta di gioia quando tutto va come dovrebbe. Ma tutto rimane celato, sotto la stoica scorza che le erbe (e la durezza della vita) gli hanno dato. Gwynbleidd non può esitare, non può vacillare. Deve proteggere Ciri, deve aiutarla a compiere il proprio destino e salvare il mondo. Deve mostrarsi forte anche quando tutto gli crolla addosso.
E mai come in The Witcher 3: Wild Hunt Geralt deve essere presente e pronto, lucido e letale. Ciri è in pericolo, la Caccia Selvaggia incombe più pericolosa che mai. Tutte le forze che per più di un decennio si sono combattute il controllo del Sangue Ancestrale della figliastra, convergono ora in blocco per la stretta finale. E “Il Macellaio di Blaviken” getta definitivamente la maschera, mostrandosi in tutta la sua fragilità di padre disperato.
Corre contro il tempo e soprattutto contro il Destino, lo stesso Destino che lo ha legato a doppio filo a quella ragazzina tanto straordinaria e simile a lui. Nel capolavoro conclusivo dell’epopea di CD Projekt RED (non canonica per l’autore dei romanzi ma, forse, di livello addirittura superiore) Geralt diventa meno “mostro” e più umano che mai. I sentimenti che tanto ha cercato di nascondere, la paura, il dolore, l’amore e l’affetto, emergono come un fiume in piena; senza sopraffarlo, ma donandogli invece la forza necessaria a rimanere in piedi.
In mezzo a mille avventure, a infiniti intrecci politici e non, Geralt non perde MAI di vista il suo unico e vero obbiettivo: salvare la ragazza del Destino. La figlia che la genetica non ha potuto dargli ma che il fato ha voluto regalargli: Cirilla di Cintra. Durante l’avventura potrà sentire divampare il vecchio sentimento per Yennefer, sentire accendersi l’amore per Triss, certo. Ma entrambi impallidiscono di fronte allo smisurato affetto e senso del dovere nei confronti della figlia adottiva. Cirilla è il suo lascito al mondo, un mondo che sa benissimo non meritarsi un simile dono e sacrificio.
L’inseguimento a Ciri, per salvarla dai giochi di potere di una società corrotta, è anche una ricerca indiretta. Quella di un motivo, di una ragione per continuare a lottare per un’umanità ormai alla deriva. Per continuare a vivere e non semplicemente a lasciarsi esistere, per essere l’uomo che è sempre stato anche alla luce del sole. Essere più di una semplice soluzione necessaria. Per essere più del “male minore”. E, cercare, di essere finalmente felice, libero dalle catene del Destino.
Del sangue di mostri e di uomini imbevuti di male si nutrono all’infinito le lame del Witcher nella sua ricerca, eppure mai una volta la sua integrità vacilla o esita. La fiamma è salda e bianca, anche in mezzo all’odio, al disprezzo e alla diffidenza della gente. Il mondo di The Witcher 3 è un viaggio in una terra desolata, dove in mezzo a Basilischi, Viverne e Vampiri, il male peggiore è quello che alberga nel cuore degli uomini qualunque, i più insospettabili.
Il peso degli anni grava come un macigno nel cuore e nel petto dello strigo, che per oltre due secoli ha dovuto convivere con gli incubi di una società alla deriva, marcia e malsana. Invischiato in intrighi più grandi di lui, rimane intero, retto, incorruttibile. Unico. Per lei, per la sua Ciri.
Geralt non è un eroe qualunque, da copertina. È qualcosa di più. Uno di quegli uomini che si trovano incatenati dal fato senza volerlo, eppure lottano con le catene, cercando una maglia più debole nella trama prestabilita del Destino. Un finale che può solo intravedere, intuire, ma di cui non ha paura. Non per sé stesso almeno. Geralt cerca una risposta, una soluzione, fino all’ultimo, fino a quando capisce la verità: non può proteggere dal mondo intero la sua amata figlia.
Anche se è lui il nostro protagonista, questa è la storia di Ciri, la sua crociata. E lui non può far altro che sostenerla, reggerle le ali ancora un po’, sperando poi che, con tutto l’amore che le ha donato, la piccola rondine riesca a volare verso la vittoria da sola. Geralt alla fine regala il suo dono ultimo a quella razza che non lo ha mai accettato, che lo ha sempre visto come un male necessario: Ciri, il sangue ancestrale, il frutto del suo cuore di mostro gentile, la figlia che rappresenta la sua parte più umana.
Il bene superiore ed il male necessario, lo Yin e lo Yang che da sempre hanno fatto da ago della bilancia nella vita del Witcher, collidono finalmente nel fantastico crescendo finale di The Witcher 3, regalando allo strigo una degna chiusura del cerchio, qualsiasi dei 3 epiloghi vogliate raggiungere (anche se, ovviamente, il finale più buono alleggerisce il cuore dopo tante ore di avventure e fatiche). L’apice perfetto per il Geralt cavaliere, padre, amico, amante e salvatore. Vittorioso e sconfitto al tempo stesso, il cacciatore di mostri ha e avrà sempre dalla sua un asso nella manica che nessuno potrà mai togliergli: una magnifica storia da raccontare.
Per questo, qualsiasi sia la piega futura che prenderà il franchise, il Geralt di The Witcher 3 rimane, ora e sempre, l’eroe più grigio e perfettamente imperfetto che la storia videoludica ci abbia mai regalato. Un mostro più umano che mai, ed un umano meno mostruoso di tanti altri. Un guardiano silente del purgatorio che ci creiamo in terra, uno dei genitori meglio rappresentati dell’intera storia dell’intrattenimento, non solo dei videogiochi.
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di Pietro Magnani
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