“The Midnight Club” è la terza serie tv di Mike Flanagan con Netflix, uscita il 7 ottobre sulla piattaforma streaming. Dopo “The Haunting” e “Midnight Mass“, Flanagan sceglie di adattare il romanzo per ragazzi di Christopher Pike “The Midnight Club“. Nel cast figurano Iman Benson, Igby Rigney, Ruth Codd, Heather Langenkamp, Annarah Cimone, Chris Sumpter, Adia, Aya Furukawa, Sauriyan Sapkota, Matt Biedel, Samantha Sloyan e Zach Gilford.
Ilonka è una ragazza giovane e molto intelligente che, dopo il diploma, è in procinto di recarsi a Stanford per l’università. Un’ombra oscura si abbatte però sulla ragazza, che scopre di essere gravemente malata. Decide così di trasferirsi in una struttura per giovani malati terminali, dove viene accolta calorosamente da gran parte degli ospiti. Durante la permanenza, tuttavia, inizia ad avere strane visioni e assistere a fenomeni inspiegabili, iniziando a dubitare della trasparenza del luogo e della sua storia. Scopre inoltre l’esistenza del “Midnight Club“, un circolo nel quale i ragazzi si riuniscono ogni notte per raccontarsi storie inquietanti. Il club è fondato su una promessa: il primo dei ragazzi a morire dovrà trovare il modo di contattarli dall’aldilà per avvisarli di cosa li aspetta. Tra amicizia e dolore, curiosità e paura, realtà e visioni sempre più terribili, Ilonka si troverà in breve tempo a vivere l’avventura della sua vita.
“The Midnight Club” si fonda su due principi fondamentali: il dolore e l’amore. È frequente la convinzione che questi due sentimenti siano “come bianco e nero”, completamente distanti e impossibili da accostare. Spesso, però, l’uno può scaturire dall’altro, o persino accrescerlo; dal dolore può nascere amore, ma l’amore può generare dolore. È il caso degli otto ragazzi protagonisti, i quali, uniti nella malattia, si legano l’uno all’altro proteggendosi e sostenendosi come una famiglia.
Il sentimento del dolore viene sezionato e analizzato in ogni suo aspetto, incarnandosi nei diversi punti di vista dei personaggi. C’è chi lo vive con rabbia, erigendo barriere di difesa, chi prova paura, chi speranza, chi rassegnazione e chi non riesce a provare più nulla. Nell’hospice come nella vita, davanti alla malattia come davanti a qualsiasi difficoltà, non esiste un modo univoco di vivere la sofferenza; ognuno è valido e giusto, per quanto incomprensibile agli occhi del mondo. Il messaggio è importante soprattutto considerando il giovane pubblico a cui la serie è indirizzata, e viene divulgato in maniera sottile ed efficace.
Proprio a questo target di pubblico si deve fare riferimento nel guardare la serie; spesso, infatti, si è spinti a riflettere sull’effettiva caratterizzazione dei personaggi. Ilonka, Kevin, Anya e gli altri ragazzi presentano delle differenze accentuate al punto da risultare quasi delle semplificazioni. Una psiche troppo complessa avrebbe sicuramente finito per non essere compresa dal pubblico più giovane; tuttavia, in questo modo si rischia di eccedere nel senso opposto, sfiorando il sottile confine con lo stereotipo. Non c’è comunque dubbio che i sentimenti dei protagonisti siano posti in primo piano, ramificati e condivisibili dagli spettatori. Sarebbe stato interessante vedere qualche tratto comune ad alcuni di loro, o uno spettro di emozioni più ampio e meno focalizzato su quella “principale”. A ciò ha contribuito anche la performance del cast, che si è adattato bene ai ruoli dei personaggi.
Lasciando da parte gli elementi drammatici e quelli prettamente adolescenziali, “The Midnight Club” è classificata nel genere horror. La componente spaventosa non manca nella serie, che già con l’istituto e la costante presenza della morte pone le basi per il genere. In questo caso l’horror è molto moderno e porta la firma di Flanagan, come traspare dal confronto con lavori precedenti come “The Haunting“. L’azione notturna e il frequente uso di jumpscare sono tipici del regista, ma spesso, usati in film e serie, possono portare ad un risultato banale e privo di novità. Pur restando la storia dei ragazzi e la loro amicizia il tema dominante della serie, le tinte horror che la contornano risultano, alla lunga, carenti di originalità a livello stilistico. Una carenza che si fa sentire, in un prodotto che poteva essere ampiamente valorizzato da un uso migliore della suspence e più sapiente del genere.
L’andamento delle dieci puntate che compongono la serie è piuttosto diluito; si sofferma spesso su inquadrature e scene minori ai fini della trama, il che favorisce la riflessione sul suo proseguimento. Anche in questo caso, però, l’eccesso può risultare poco efficace: l’attenzione, infatti, spesso si perde a causa della durata.
Nonostante il minutaggio, la serie non chiude tutte le trame aperte nel corso degli episodi. Questo potrebbe essere un indizio di una futura seconda stagione, che però si scontra con le modalità del regista; Flanagan, infatti, è abituato a realizzare miniserie, come nel caso di “Midnight Mass” e delle due stagioni indipendenti di “The Haunting“. La speranza è che “The Midnight Club” possa infrangere questa tradizione, rispondendo alle numerose domande rimaste in sospeso.
“The Midnight Club” è una serie per ragazzi che analizza profondamente i sentimenti di amore e sofferenza. I personaggi vivono ognuno la propria storia e sono tutti diversi, forse troppo; la loro caratterizzazione, infatti, finisce per mantenere poco di realistico, concentrandosi sulla loro visione della malattia e della morte. L’uso dell’horror si mantiene solido intorno ai jumpscare e le atmosfere notturne, risultando poco innovativo. Si dilunga inoltre in 10 episodi che, spesso, presentano scene di eccessiva durata, le quali distolgono l’attenzione dal fulcro del momento. Tutte queste caratteristiche sono tipiche del regista Mike Flanagan, noto per le sue miniserie: il finale aperto della stagione potrebbe dunque non avere una conclusione e le domande del pubblico non trovare risposta.
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