The Father non è una pellicola spensierata o leggera, anzi. Entra sotto pelle e nella mente dello spettatore, facendo smuovere qualcosa nella coscienza di tutti. Quante volte avete desiderato di entrare nella mente di qualcuno per capire cosa frullasse dentro di essa? E se una volta dentro non desideraste nient’altro che uscire? Ecco la recensione del film che ha regalato l’ennesimo premio in una carriera gloriosa al leggendario Anthony Hopkins, The Father
Anthony (Anthony Hopkins) il protagonista, soffre di Alzheimer. Di lui si occupa la figlia Anne (Olivia Colman); un impegno immane è quello che si trova a dover gestire questa donna ogni giorno. Tale situazione si va ad intrecciare con la sua vita privata che inevitabilmente ne risente. A tale proposito Anne cerca più e più volte di trovare una badante per il padre, ma questo richiederà notevoli sforzi. La malattia di Anthony mette costantemente a dura prova la caparbietà della figlia ed il rapporto tra quest’ultima e il compagno.
Lo spettatore viene posto dal regista nella mente di Anthony. Un labirinto senza via d’uscita è quello dove ci si trova. La scelta sarebbe potuta essere differente; farci vivere tutto dalla prospettiva della figlia, come in Rain Man affianchiamo il percorso di Charlie Babbitt (Tom Cruise). Ma non è stato così e questa si è rivelata la scelta più efficace. Spesso giudichiamo le persone senza pensare prima di parlare, senza conoscere la loro storia, senza sapere ciò che devono affrontare tutti i giorni… Con questa pellicola ci viene donata l’opportunità di fare quello che non è possibile nella realtà: ascoltare, comprendere ed agire in base a questo.
Un apprezzamento speciale deve essere rivolto al regista, Florian Zeller, per la straordinaria capacità della prospettiva. Non si è in grado di comprendere la situazione finché non è la mente stessa a riuscirci. La delicatezza e la sensibilità della figlia contrapposte all’irritabilità inaspettata del padre. Le inquadrature sempre conformi alla situazione ed al soggetto della scena. Le corrette velocità ed ampiezze. Tutto ci riconduce ad una mente alterata e sofferente per la quale non si può provare altro che compassione.
Oscar come miglior attore protagonista ad Anthony Hopkins. La sua sensazionale interpretazione porta alla costante commozione dello spettatore. Non si è in grado, durante un solo secondo del film, di distaccarsi dal personaggio per “prendere una pausa”. La drasticità e drammaticità della situazione, da lui, vengono rese semplici da assimilare; nonostante il ragionamento da fare per poter comprendere il frangente sia oltremodo articolato.
Un grande titolo, complesso e introspettivo, che ci consegna, nonostante il tempo che avanza inclemente, uno degli Hopkins migliori di sempre.
di Matilde Grassi
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