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The Brutalist, la recensione: un film monumentale

The Brutalist è un film del 2024, diretto da Brady Corbet, sceneggiato da lui e da Mona Fastvold. Il film racconta la storia di Làszlò Toth, architetto ungherese di religioni ebraica, che è emigrato in America dopo essere sopravvissuto ai campi di concentramento. La trama ruota attorno al suo progetto più importante e mastodontico, al suo rapporto complesso con il suo benefattore, al suo amore per l’arte sfociato in ossessione e alla vita da emigrato negli Stati Uniti di Truman e di Eisenhower.

Si tratta di un film molto pesante, sia come temi trattati che per la durata in sé (si parla di 215 minuti), ma che riesce a proporre una visione originale di un tema già molto affrontato: il rapporto tra un artista e la sua arte, che rischia di sfociare in ossessione.

Làszlò Toth: una perfetta rappresentazione del dolore di un artista

L’obiettivo del film è molto ambizioso: intende infatti introdurre molto bene Làszlo Toth, prima ancora di parlare del suo progetto dell’Istituto Van Buren, che copre più di metà del film. Il protagonista, interpretato da Adrien Brody, è molto approfondito in tutte le sue sfumature, e il regista non si fa problemi nel mostrare anche i suoi vizi e difetti. Làszlò non è un eroe tantomeno un innocente, lo dimostrano la sua dipendenza da eroina, di cui abusa per non sentire più il dolore, prima fisico e poi psicologico, e la sua promiscuità nonostante sia sposato.

Il protagonista di The Brutalist è un uomo di cultura e motivato dalla forte passione per l’arte, che vede nell’America un futuro certo, al punto da rinunciare alle sue radici ungheresi e, in un certo momento, anche quelle ebraiche. La sua deriva ossessiva, nei confronti della sua arte, non è che un tentativo di dimostrare al paese che lo ha accolto del suo valore intrinseco, indipendente dal suo luogo di origine o della religione che pratica. L’Istituto a cui lavora come architetto è la sua chimera, la sua Moby Dick, un obiettivo allo stesso tempo vicino ma irraggiungibile, in cui mette soldi, anima e sangue, ma che sembra sempre gli venga portato via.

I personaggi attorno a lui non aiutano il suo stato d’animo verso l’opera, sarà più di un’occasione in cui gli verrà dimostrato che è a malapena tollerato per il suo genio, altrimenti verrebbe trattato alla strenua di un cane. Comportamenti che non aiutano a quietare lo spirito di Làszlò, bensì lo allontanano ancora di più dalla stabilità che gli manca, facendogli respingere i suoi unici amici e la sua famiglia ed isolandolo nella sua ossessione.

I comprimari di The Brutalist: immensi e potenti

Un altro punto affrontato dal film è il suo rapporto con la moglie, interpretata da Felicity Jones, che sicuramente ama con tutto il cuore. Allo stesso tempo, Làszlò non si fa scrupoli nell’avere rapporti con altre donne quando è lontano da lei. Inizialmente, lo spettatore lo potrebbe quasi perdonare, dato che pensa che la moglie sia morta in un campo di concentramento, ma anche dopo che scopre che è viva e che aspetta di poter ottenere un visto per raggiungerlo, il suo rapporto con le donne rimane quantomeno ambiguo. Il confronto tra lui e la moglie dopo il loro ritrovamento, nell’intimità della loro camera da letto, è una delle scene più potenti di tutto il film.

Rapporto con la moglie che viene messo in secondo piano nel momento in cui viene contattato da Harrison Lee Van Buren, un importante miliardario che gli commissiona un gigantesco istituto, senza limiti per la rappresentazione (lo stile di Toth, brutalista appunto, è così centrale da arrivare a dare il nome al film). Il personaggio, interpretato da Guy Pearce in una delle sue intepretazioni migliori, si presenta fin da subito come una figura tossica nella vita di Làszlò, il cui rapporto tra alti di stima e rispetto reciproci e bassi di offese, umiliazioni ed addirittura abusi determina l’intero andamento del film, e della salute dell’artista.

L’America di The Brutalist: salvezza o inferno?

L’ambientazione è importante tanto quanto i personaggi: l’America dipinta da Corbet è infatti da un lato molto libera, che permette a chiunque di poter lavorare e di poter vivere, fungendo da paradiso perfetto, soprattutto per i protagonisti, scappati dagli orrori dell’Olocausto. Tuttavia, dall’altro lato, è un posto che giudica chiunque sia diverso, avvelenando letteralmente lo spirito di chi ci vive, senza trattenersi da far uscire dalla bocca di Van Buren e dal figlio esternazioni razziste, classiste e xenofobe, sia verso la famiglia Toth sia verso chiunque altro non sia come loro.

PRO E CONTRO

PRO

  • Le interpretazioni magistrali degli attori: Adrien Brody, Felicity Jones e Guy Pearce regalano delle interpretazioni potenti ed impressionanti quanto il marmo bianco di Carrara. In particolare Pearce come “antagonista” del film è maestoso, regalando uno dei monologhi più potenti che si siano visti negli ultimi anni, trasformando quello che poteva essere un ruolo bidimensionale in un personaggio che buca lo schermo;
  • La rappresentazione dell’ossessione: Làszlò Toth ha una passione che nel corso del film diventa un’ossessione per la sua arte, che nel finale rasenta quasi un bisogno fisiologico. Più volte all’interno del film farà abuso di sostanze soltanto per lenire il suo dolore, dovuto dall’incapacità di poter portare a termine il suo lavoro;
  • La scrittura dei personaggi e dei dialoghi: i due sceneggiatori donano ai personaggi protagonisti una profondità di una miniera, facendo immediatamente empatizzare il pubblico con essi. Il tenore, il ritmo e l’intensità dei dialoghi riescono a tenere lo spettatore sulle spine, ed in ogni scena in cui Làszlò subisce una brutta notizia o è vittima di un imprevisto, il pubblico percepisce il suo dolore, con gli insulti e le umiliazioni che picchiano come pugni in piena faccia;

CONTRO

  • Personaggi secondari superficiali: Se i tre personaggi principali sono ricchi di sfaccettature e sfumature, gli altri sembrano molto meno approfonditi; non che manchino gli spunti per suggerire una maggiore profondità, ma il tempo dedicato alla storia ed i tre personaggi primari non permette che questi spunti possano germogliare e svilupparsi al meglio. Non necessariamente un problema grave, ma sicuramente una piccola mancanza, soprattutto in qualche scena in cui dei personaggi che facevano da “sfondo” diventano improvvisamente molto più prominenti nella storia;
  • Una regia poco ispirata: Corbet imbarcandosi in questo progetto, rischia purtroppo di cadere vittima dell’autocelebrazione e del virtuosismo, regalando un film maestoso e ben confezionato, ma che non regala molti guizzi di regia originali: tranne per la scena ambientata a Carrara, paradossalmente la messa in scena più interessante è quella dei titoli di testa;
  • Durata forse troppo impegnativa: Il film si prende il suo tempo per far immedesimare lo spettatore nel protagonista, raccontando accuratamente tutti gli avvenimenti che caratterizzano la sua vita, ma al prezzo di una durata molto lunga, che rende la visione del film sicuramente non adatta a tutti;

The Brutalist è un film dalla potenza immane, che rappresenta con abilità svariati dilemmi sociali regalando una storia complessa, struggente e pesante. Il film dimostra che l’arte ha un rapporto con l’artista che non è necessariamente positivo, ma che come ogni rapporto, se portato all’eccesso, rovina l’esistenza al posto di migliorarla. Avete visto il film? Vi è piaciuto? Fatecelo sapere. Continuate a seguirci su Nasce, Cresce, Streamma.

Voto: 8

Articolo di Lorenzo Giorgi

Redazione NCI

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