Lo scoppio di una terza guerra mondiale è uno scenario ampiamente esplorato nell’arte cinematografica, letteraria e videoludica; un nuovo conflitto su scala planetaria, considerando gli armamenti nucleari posseduti dalle più grandi potenze mondiali, significherebbe l’apocalisse nel giro di pochi minuti. Nel corso della cosiddetta Guerra Fredda, ci sono stati molti eventi che minacciavano il verificarsi di uno scenario simile; in questo “lo sapevi che” andremo alla scoperta di un uomo, che, grazie alle sue capacità analitiche e di sangue freddo, ha impedito lo scoppio di una miccia che, potenzialmente, avrebbe decretato l’inizio di una guerra tra URSS e USA.
Il 26 settembre 1983, Stanislav Petrov, ingegnere e tenente colonnello delle Forze di difesa aerea sovietiche, si trovava di stanza in un bunker della base militare Serpukhov-15, a sud di Mosca. Quella notte, tuttavia, la sua presenza era un’eccezione perché lo avevano chiamato a sostituire un ufficiale di combattimento senior che non poteva assumere il servizio di guardia. L’ironia della sorte, o meglio un malfunzionamento del sistema di difesa aerea sovietica, avrebbe investito il 44enne Petrov di una responsabilità inimmaginabile; come Atlante sorregge sulle sue spalle il mondo intero, quella notte era Petrov a sobbarcarsi il peso del destino dell’umanità.
In un periodo estremamente caldo nei rapporti tra URSS e USA, Mosca si era attrezzata con un sistema di allarme denominato “Oko“, progettato agli inizi degli anni ’70. Il suo scopo era quello di rilevare, con largo anticipo, il lancio di missili nucleari da potenze avversarie, così da poter contrattaccare in maniera pronta. Questo sistema si reggeva su dei satelliti piazzati in orbita e dotati di radar; il suo centro di controllo era situato proprio nel bunker dove, quella notte, Petrov era stato chiamato in qualità di responsabile. Il suo compito era quello di monitorare la situazione e di contattare immediatamente i suoi superiori in caso di rilevamento di missili intercontinentali.
Poco dopo mezzanotte, lo scenario più insperato si concretizzava davanti agli occhi di Petrov e dei soldati in stanza all’interno del bunker; delle sirene assordanti rimbombavano nell’edificio interrato, con una scritta che lampeggiava su tutti gli schermi: “LANCIO“. Il sistema aveva infatti rivelato il lancio di un missile intercontinentale proveniente da una base militare negli Stati Uniti; nel giro di pochi secondi, tuttavia, aveva individuato altri quattro missili, originari dalla stessa base.
Dopo degli istanti in cui tutti i presenti, tra cui Petrov, rimasero impietriti e con il sangue gelato, era necessario agire; ma come? Petrov avrebbe dovuto contattare immediatamente i suoi superiori, così che, nell’arco dei 25 minuti previsti prima dell’arrivo dei missili, anche l’URSS potesse lanciare il suo armamento nucleare in risposta.
“Tutto quello che dovevo fare era prendere il telefono per attivare la linea diretta con i nostri comandanti superiori, ma non potevo muovermi. Mi sentivo come se fossi seduto su una padella bollente”.
Così Petrov, trent’anni dopo, raccontò alla BBC quello che passava per la sua mente in quei secondi. La scelta di non coinvolgere i superiori si è rivelata, a posteriori, quella che, potenzialmente, ha salvato le vite di milioni di persone. Pochi minuti dopo l’allarme, infatti, i primi dubbi iniziarono a serpeggiare nella testa di Petrov e degli altri uomini presenti. Se gli Stati Uniti progettavano un attacco, perché hanno scelto di lanciare solo cinque missili anziché impiegare l’intero arsenale nucleare? Inoltre, Petrov conosceva molto bene il sistema “Oko” – lui stesso aveva contribuito alla progettazione del bunker e della tecnologia in questione -, ed era quindi consapevole che potesse essere soggetto a malfunzionamenti, considerando altresì che i radar di terra non avevano rilevato nessun missile.
Tutti questi elementi hanno convinto Petrov che non si trattava affatto di un attacco; passati diversi minuti, infatti, l’allarme era rientrato e nessun missile era esploso in terra sovietica. Solo in quel momento, il responsabile ha contattato i propri superiori avvisandoli che si trattava di un falso allarme. Un’ insolita combinazione di luce solare riflessa dalle nuvole e la posizione dei satelliti in orbita hanno provocato il guasto del sistema “ko”, innescando l’allarme senza la presenza effettiva di missili.
Stanislav Petrov è quindi l’uomo che salvò il mondo? Molto probabilmente sì. È difficile immaginare cosa sarebbe successo se avesse contattato i suoi comandanti superiori, ed essendo impossibile avere una controprova, è lecito immaginare lo scenario più catastrofico. I meriti conseguiti per questa scelta salvifica? Materialmente zero, almeno nei primi anni successivi ai fatti; tra interrogatori e richiami diretti, non ha ricevuto nessun riconoscimento e la storia doveva rimanere sepolta, per evitare di gettare discredito sulla tecnologia sovietica. Dal punto di vista morale, tuttavia, ha evitato la morte di milioni, se non addirittura miliardi di persone.
Solamente con la fine della Guerra fredda la sua storia è emersa e diventata di conoscenza popolare, raccontando a più riprese il suo resoconto dei fatti di quella notte. Con il tempo, quindi, Petrov è stato oggetto di un meritato processo di “eroizzazione” mediatica, divenendo oggetto di un documentario, intitolato The Man Who Saved the World (2014). Morì nel 2017, in seguito a una polmonite ipostatica.
Petrov è un uomo che, nonostante i giusti riconoscimenti ricevuti negli ultimi decenni, rimarrà sempre in secondo piano nelle pagine di storia; tuttavia, con molta probabilità, possiamo affermare che il suo gesto, in quella lontana notte del 26 settembre 1983, abbia permesso all’umanità di superare indenne il rischio della guerra nucleare, permettendoci di scrivere e di leggere la sua storia.
Fonti: Encyclopedia Britannica, Il Post
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