La fine è arrivata. Da oggi, 27 giugno, è finalmente disponibile “Squid Game 3”, la seconda parte della seconda stagione della celebre serie coreana targata Netflix. Ringraziamo la piattaforma per l’anteprima esclusiva che ci ha concesso. Ma ora veniamo al punto.
Dove ci eravamo lasciati. Gi-hun è tornato nel gioco con un obiettivo ben preciso: smantellare l’organizzazione dall’interno. La prima parte di questa seconda stagione era un’esplosione di linee narrative: l’indagine del detective Hwang Jun-ho, la missione personale di Kang No-eul – una disertrice dal passato tormentato – e il piano dello stesso Gi-hun. Una triade potente, anche se disomogenea. (Se ve la siete persa, qui trovate la nostra recensione della Parte 1.)
Tra alleanze fragili e piani estremi, Gi-hun tenta di sovvertire il sistema. Ma le cose non vanno come sperato, e un volto familiare torna a complicare tutto. Ora si ricomincia a giocare. La posta in gioco è più alta che mai. Nel momento più drammatico, Gi-hun ha assistito impotente alla morte del suo più caro amico, Jung-bae, ucciso proprio dal Front Man con un colpo di pistola davanti ai suoi occhi. Riuscirà il nostro protagonista a vincere sul Front Man e questa organizzazione?
Questa seconda parte riprende da dove ci eravamo lasciati. I giochi finali risultano meno incisivi, soprattutto dal punto di vista visivo e narrativo. Il ritmo rallenta, e alcune scelte narrative sembrano più spinte dalla necessità di chiudere tutto che da un reale sviluppo organico.
Uno dei maggiori problemi della stagione è la scarsa coerenza delle scelte: azioni poco credibili, svolte narrative forzate, e un livello di prevedibilità che toglie mordente a molti momenti chiave. A questo si aggiunge una scrittura dei personaggi spesso debole: figure centrali che perdono spessore, reazioni poco credibili, dialoghi a tratti semplicistici. Alcune scene sfiorano il trash.
Il cast, nel complesso, è altalenante. Alcuni attori confermano il proprio talento con performance solide, altri invece non riescono a lasciare il segno. Un problema evidente riguarda l’uso di CGI (IA?), in una sequenza fondamentale che risulta davvero mal realizzata, quasi fuori tono rispetto al resto della serie.
Tra i punti più critici c’è la gestione delle sottotrame, alcune delle quali non trovano una vera risoluzione. Una in particolare, dopo una costruzione inizialmente promettente, viene chiusa in modo affrettato, lasciando l’impressione di qualcosa di incompleto.
Al contrario, il percorso di un personaggio chiave si conclude con forza e coerenza, rappresentando uno dei pochi momenti davvero riusciti sul piano narrativo ed emotivo. Tuttavia, resta la sensazione che la serie si perda tra troppe linee narrative aperte, senza riuscire a chiuderle tutte in modo soddisfacente.
Tra cliché e forzature, qualcosa si salva. Questa seconda parte riesce comunque a colpire, soprattutto nei momenti in cui emergono i sentimenti più crudi: paura, senso di colpa, perdita. Le emozioni si rincorrono da una scena all’altra, dando un ritmo instabile ma non privo di impatto. Anche quando la narrazione vacilla, sono questi passaggi a riportare l’attenzione dello spettatore su ciò che davvero conta: le reazioni umane.
Tra i temi centrali affrontati c’è anche quello della genitorialità, proposto in modo sottile ma significativo. Due personaggi, in particolare, si interrogano sul senso del diventare genitori in un mondo ormai deviato, dove la dignità umana sembra valere meno del denaro. La domanda che si pongono – e che inevitabilmente si pone anche lo spettatore – è brutale: vale davvero la pena mettere al mondo un figlio in questa società? Una riflessione amara che, pur sviluppata in pochi momenti, aggiunge profondità al racconto.
E infine, la domanda delle domande: “Si può ancora avere fiducia nell’essere umano?”. Squid Game 3 ci mette di fronte a una realtà disturbante: ciò che l’uomo è disposto a fare per sopravvivere, per vincere, per dominare. Il gioco diventa solo una cornice. Il vero orrore è nei pensieri, nei gesti, nelle scelte. E alla fine resta il dubbio che il problema non sia il meccanismo… ma chi lo alimenta. Non il gioco, ma i giocatori stessi.
PRO
CONTRO
Le aspettative erano alte e, in alcuni casi, purtroppo disattese. Forzature narrative e una prevedibilità diffusa rendono “Squid Game 3” una stagione sì guardabile, ma priva della potenza e novità che avevano reso la prima stagione un fenomeno globale. Detto ciò, l’opera di Hwang Dong-hyuk resta una pietra miliare nella storia delle serie tv. Un progetto che ha trasformato giochi infantili in metafore brutali della condizione umana. Continuate a seguirci su Nasce, Cresce, Streamma per restare aggiornati su tutte le novità dal mondo delle serie tv e del cinema.
Voto: 6.5
Articolo di Damiano Longo
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