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Singapore, condannato a morte per un chilo di marijuana

di Alessandro Colepio

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Continua a far discutere il dibattito infinito aperto intorno alla cannabis e ai suoi usi. Pianta magica per alcuni, problema sociale per altri. C’è chi ne professa le qualità terapeutiche per il corpo e per la mente, e chi invece la vede come una droga pericolosa ed un ponte verso sostanze killer come la cocaina.

Mentre lo spaccio è punito penalmente ovunque, le legislazioni moderne trattano il consumo di questa sostanza in maniera molto diversa anche in base alla situazione sociale e politica dello Stato. Si passa dall’Olanda della legalizzazione e della vendita statale all’Italia in cui l’uso personale è concesso entro certi limiti. Passando per la Giamaica in cui è considerata una parte della vita religiosa fino ad arrivare in alcuni Paesi che sono ancora intolleranti all’uso della sostanza.

Fra questi c’è Singapore, importantissima Città-Stato situata sulla punta meridionale della Malesia. Nota storicamente per essere stata un punto di snodo per i commercianti di tutto il mondo. Una città così trafficata ha però dovuto fare i conti anche con la pirateria e col contrabbando, che per anni hanno infestato le vie della città. Il governo di Singapore ha quindi adottato dagli anni ’80 una linea politica molto dura per prevenire lo spaccio di droga nel territorio nazionale. Pene che arrivano persino alla pena di morte per i responsabili.

La legge sullo spaccio a Singapore: il caso di Tangaraju Sippiah

Andando più nello specifico, nella piccola nazione asiatica il possesso di almeno 500 grammi di marijuana può portare alla pena di morte in quanto si viene considerati spacciatori a tutti gli effetti. La quantità necessaria per ricevere la sentenza varia da sostanza a sostanza. Bastano, ad esempio, 15 grammi di eroina o 30 di cocaina per ricevere la stessa condanna.

Sta facendo parecchio scalpore ciò che è accaduto nelle scorse ore a Singapore. Tangaraju Sippah, 46 anni, è stato impiccato nella giornata di ieri. L’uomo era stato arrestato nel 2017 per aver favorito il traffico di un chilo di cannabis dalla Malesia alla Città-Stato. Un impiegato del servizio penitenziario di Singapore lo ha confermato ai microfoni di AFP.

La sentenza del giudice ordinario era stata confermata nel 2018 anche dalla Corte d’Appello, salvo poi essere rimandata fino alla giornata di ieri. Singapore ha infatti avuto un vuoto di circa due anni in cui non sono state eseguite le condanne a morte e questa “tregua” è durata fino al 2022. Solo nello scorso anno sono state impiccate 12 persone, mentre quello di Tangaraju Sippiah è il primo caso da 6 mesi a questa parte.

Molti gruppi umanitari e diverse associazioni internazionali hanno criticato la legislazione sul narcotraffico di Singapore, considerata una delle più dure al mondo. L’Ufficio per i Diritti Umani dell’ONU ha chiesto al governo locale di rimodellare il sistema di lotta alla droga. Per ora però sembra che i piani alti della Città-Stato siano convinti che la pena di morte sia un deterrente efficace contro i criminali. Oltre che per spaccio, a Singapore si può essere condannati a morte anche per omicidio, alto tradimento e rapimento.

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