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Scienza: intervento di successo sul cervello di un feto in utero

di Lorenzo Peratoner

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Storica operazione chirurgica avvenuta a Boston, Stati Uniti; un team di medici ha condotto un intervento in utero su un feto di 34 settimane, a cui mancavano pochi giorni alla nascita. Scopriamo qualche dettaglio in più su questo importante precedente, come riportato da TGCOM24

Feto curato nell’utero: possibile apripista per la ricerca

La famiglia del bimbo, dopo un’ecografia, è venuta a sapere della problematica che aveva colpito il feto: malformazione aneurismatica della vena di Galeno. Questa malformazione dal nome altisonante è una lesione piuttosto rara, ma che quasi sempre i medici trattano dopo la nascita del bambino, in tempi tuttavia troppo maturi; circa la metà di coloro che ricevono l’intervento, infatti, sperimentano nel corso della vita gravi problemi cognitivi e neurologici.

La famiglia si è quindi rivolta alla sperimentazione clinica condotta dagli ospedali Brigham and Women’s and Boston Children’s; i rischi di questo intervento non erano da sottovalutare, tuttavia grazie all’équipe medica, composta da esperti di questa malformazione, tra cui il dottor Darren Orbach, si è riusciti a operare il cervello del feto con successo. Questo unicum nella storia della chirurgia medica è ovviamente salito agli onori di cronaca, perché potrebbe fare da apripista a nuove sperimentazioni e trattamenti tempestivi per curare questa malformazione.

La situazione del bambino dopo due mesi

Dopo pochi giorni dall’operazione la madre ha dato alla luce il bimbo, il quale ha registrato netti miglioramenti; al momento sono infatti passati due mesi dall’intervento, e il bambino sta conducendo un’esistenza assolutamente normale, molto probabilmente grazie all’azione rapida dell’équipe medica. La situazione ovviamente continua a essere monitorata, tuttavia fino a ora non sembra esserci la necessità di ulteriori operazioni.

Il team di medici dell’ospedale ha pubblicato i dettagli dell’intervento sulla rivista “Stroke” e ci auguriamo ovviamente che la ricerca possa fare passi in avanti per rendere il trattamento sempre più sicuro fino a trasformarlo nella normalità.

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