Stando a quanto riporta ANSA, questa volta, ad essere colpita dalle restrizioni russe, è la più nota e grande enciclopedia del mondo, Wikipedia; il motivo riguarderebbe proprio la diffusione di “fake news” sulla guerra in Ucraina.
Non esiste soltanto la guerra in Ucraina per la Russia. Prosegue infatti il tentativo di combattere l’informazione da parte del direttivo russo, e stavolta, come detto, a pagarne il prezzo non è uno Stato, ma un sito web. Pare che la Russia sia intenzionata a sanzionare la famosa piattaforma Wikipedia, con una multa di 4 milioni di rubli (circa 50 mila dollari).
Il motivo? Secondo l’amministrazione russa, Wikipedia sarebbe colpevole di aver diffuso “fake news” relative alla guerra in Ucraina. Ovviamente per fake news si intendono notizie “non in linea” con la politica dello Stato, che continua a sostenere che si tratti soltanto di un’operazione speciale, e non di una guerra. Una vicenda, questa, che va avanti dall’inizio dell’invasione, quando arrivò la prima minaccia di blocco verso Wikipedia, alla quale però, l’enciclopedia online ha deciso di resistere.
Il Roskomnadzor, l’ente russo regolatore dei media nel Paese, avrebbe chiesto alla piattaforma di rimuovere le informazioni “imprecise” riguardanti l’operazione speciale della Federazione Russa in Ucraina. Queste informazioni, infatti, secondo l’ente regolatore, sarebbero finalizzate alla disinformazione degli utenti russi.
Un altro riferimento contestato, in particolare, dal Cremlino, sarebbe quello del numero di soldati russi caduti durante la suddetta “operazione speciale”. La Russia, si sa, non vuole rendere pubblico il numero delle sue vittime e non vuole che si parli della campagna ucraina in modo fallimentare. Ma non è finita qui, perché, oltre alla multa, la Russia avrebbe anche arrestato Mark Bernstein, blogger ed editor del Wikipedia russo. L’accusa è quella di aver violato la politica sulle fake news approvata pochi giorni prima dalla Duma, e che tra le varie cose, impedisce di utilizzare la parola “guerra” per l’argomento.
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di Antonio Stiuso
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