Il referendum per la legalizzazione della cannabis è stato bocciato nella serata di ieri dalla Corte Costituzionale. Dopo aver raccolto più di un milione di firme a riguardo, vani sono stati gli sforzi per l’approvazione.
Il referendum indetto si concentrava soprattutto su alcune modifiche riguardanti gli articoli 73 e 75 della Costituzione. Nel primo, troviamo l’elenco delle attività non permesse riguardanti le droghe, dalla vendita all’estrazione. La causa chiedeva di abrogare solamente la parola “coltiva”, per permettere solamente l’uso personale di marijuana. Per quanto riguarda l’articolo 75 invece, veniva richiesta la cancellazione della seguente norma:
“Sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni“.
Giuliano Amato, Presidente della Corte, ha spiegato la decisione ai reporter di Repubblica: “Il quesito è articolato in 3 sotto quesiti. Il primo relativo all’articolo 73 comma 1 della legge sulla droga prevede che scompaia tra le attività penalmente punite la coltivazione delle sostanze stupefacenti. Le tabelle 1 e 3 includono il papavero, la coca, le cosiddette droghe pesanti, mentre la cannabis è alla tabella 2. Questo ci ha portato a constatare l’inidoneità dello scopo perseguito“.
Il Presidente si è visto costretto a non procedere con il referendum, onde evitare fraintendimenti che potessero riguardare anche gli altri tipi di droghe. Ovviamente, la sua decisione è stata a lungo contestata, facendo scaturire diverse polemiche.
Ciò che non ha permesso l’approvazione della legalizzazione delle droghe leggere, è il fatto che il Comma 1, riguardante le droghe pesanti, sia direttamente collegato al Comma 2, riservato alle droghe leggere.
Dalla stessa Corte è stato quindi spiegato il motivo: “L’unico modo per rendere penalmente irrilevante la coltivazione a uso personale della cannabis era intervenire anche sul primo comma, lasciando però intatte le pene per tutte le altre condotte. Noi lo abbiamo sempre detto che il quesito depenalizzava la coltivazione di tutte le piante, senza però intervenire sulle pene per le altre condotte a fini di spaccio come la detenzione e la fabbricazione“.
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Di Enea Bacciocchi
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