Le partite tra Brescia e Atalanta sono sempre state caratterizzate da una accesissima rivalità, sia sul campo che sugli spalti. Infatti, le città di Bergamo e Brescia hanno una lunghissima rivalità secolare, che a partire dal Novecento si è trasferita sul rettangolo verde. Ormai 22 anni fa andava in scena uno di questi derby tra le due squadre, destinato a entrare nella memoria collettiva sia per il risultato sia per una nota vicenda.
Il 30 settembre 2001 al Rigamonti di Brescia giunge un’Atalanta in cerca di conferme dopo la prima faticosissima vittoria ottenuta a Verona. Gli Orobici infatti, hanno rimediato ben 3 sconfitte nelle prime 4 partite, mentre i padroni di casa, trascinati da Tare e Baggio, sono a quota 5 punti.
Le Rondinelle partono meglio, tant’è che trovano al 24′ il vantaggio con l’eterno Divin Codino, ma si fanno rimontare in pochi minuti. Difatti i nerazzurri reagiscono di pancia e prima pareggiano i conti con Valvassori al 27′, poi due minuti dopo ribaltano il punteggio con Doni. Infine, al 45′ Comandini segna l’1-3, gelando Brescia e il Brescia. Alla ripresa, la squadra di Mazzone sembra in balia dell’avversario, ma un guizzo di Baggio, su torre di Tare, alimenta la fiammella della rimonta; si è sul 2-3.
Dopo il gol, Mazzone, che dal primo minuto era stato insultato pesantemente dagli atalantini, si gira verso il settore ospite e fa una promessa destinata a entrare nella storia del calcio. La frase pronunciata da Mazzone? “Se famo er terzo vengo sotto aa curva”. Una promessa è una promessa, e Mazzone quel giorno ha deciso di onorarla molto volentieri; difatti al 92′ Baggio calcia una punizione, deviata dallo sfortunato Rinaldi nella propria porta, portando quindi il Brescia sul 3-3. L’allenatore romano, pazzo di gioia e anche di rivalsa, si mette a correre per più di 50 metri di campo, mente il suo staff cerca vanamente di placcarlo, per poi fermarsi sotto la curva dell’Atalanta.
In un’intervista a Il Giorno dell’anno scorso, l’ex allenatore ha raccontato e spiegato il motivo di quella corsa forsennata e liberatoria:
“Ma ve lo giuro, non volevo andarmi a cercare rogne, ma ciò che accadde sugli spalti mi fece stare male, mai viste e sentite certe cose in quasi 40 anni di carriera. Noi andammo in vantaggio con Baggio, forse festeggiammo troppo e infatti l’Atalanta ce ribaltò e si portò sul 3-1. In campo era una battaglia, ma mi dava più fastidio sentire già a fine primo tempo dalla curva dei bergamaschi i cori beceri che mi trafissero er core: “Carletto Mazzone romano de m…, Carletto Mazzone figlio di p…” e altro ancora. Non lo accettai, soprattutto pensando alla mia povera mamma che mi era morta giovanissima fra le mie braccia. Me venne il sangue agli occhi perché non era solo un’offesa nei miei confronti, si volevano colpire i miei affetti. Dissi al mio vice Menichini: “Nun ce sto, nun ce vedo più, me stanno a fà impazzì de rabbia. Mo’ vado e li meno”. Poi andai dal quarto uomo e gli dissi: “Stamme bene a sentì, tu devi scrivere tutto sul tuo taccuino, perché mo t’avviso che sto fuori de testa. Se pareggiamo scrivi tutto”.
Carlo Mazzone quel giorno è stato di parola, entrando nell’immaginario collettivo.
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