di Redazione Network NCI
Uno studio condotto dalla UC Berkeley Haas ha riguardato il motivo per il quale tendiamo a non tornare sui nostri passi quando commettiamo un errore. Si tratta di un bias cognitivo, detto “avversione al doppio ritorno“.
La ricerca
Lo studio è stato condotto dal professore di marketing Clayton Critcher e dalla dottoranda Kristine Cho ed è stato poi pubblicato sulla rivista Psychological Science. La ricerca ha così identificato un nuovo bias cognitivo chiamato “avversione al doppio ritorno“.
I ricercatori hanno svolto una serie di esperimenti, nei quali si mostrava a circa 200 partecipanti un corridoio virtuale e si chiedeva loro di percorrerlo. Mentre camminavano, ai partecipanti veniva mostrata un mappa in cui si mostrava loro che, per fare il percorso più veloce e arrivare prima a destinazione, avrebbero dovuto ritornare sui propri passi. In alternativa, avrebbero dovuto svolgere un percorso del 20% più lungo. Il percorso più corto correva parallelo a quello originale, di conseguenza non dovevano ripercorrere interamente i propri passi, ma semplicemente invertire temporaneamente la direzione.
L’esperimento ha evidenziato come più della metà dei partecipanti, nonostante la possibilità di intraprendere la strada più corta, preferissero mantenere la direzione precedente e perdere così tempo e energia inutilmente. Nello specifico, solo il 42% scelse di cambiare strada; qualora, invece, il cambio di direzione non implicasse un ritornare sui propri passi, il 69% accettò di sostituire il percorso. Un differenza, quindi, di 27 punti.
La stessa Cho ha espresso il loro stupore durante l’esperimento:
“Entrambi siamo rimasti sorpresi dal gran numero di partecipanti che hanno deciso di non prendere la strada più facile e veloce, solo perché richiedeva tornare indietro. La portata dell’effetto è stata scioccante.”
Quando poi hanno chiesto ai partecipanti per quale motivo non avessero cambiato strada, quest’ultimi hanno ammesso di sapere di aver scelto il percorso più lungo. Ciò rendeva chiaro che a condizionare la decisione non fu la stima delle distanze, ma il senso soggettivo della retromarcia.
Sempre Cho ha poi affermato che un numero sorprendente di persone aveva detto esplicitamente “Non voglio dover rifare tutti i miei progressi finora“.
Un altro esperimento
I ricercatori hanno poi svolto ulteriori esperimenti riguardo a quest’avversione per il ritornare sui propri passi. In uno di essi, a 400 partecipanti è stato chiesto di pensare 40 parole che cominciassero con la lettera G. Una volta inviate 10 parole, veniva data loro la possibilità di passare a 30 parole che cominciassero con la lettera T. Le loro decisioni sono state fortemente condizionate dal modo in cui è stata presentata la proposta. Se veniva loro detto che, accettando, il lavoro precedente veniva completamente scartato, solo il 25% cambiava effettivamente il compito. Quando, invece, si diceva che quanto fatto finora veniva semplicemente trasferito, si rivelavano molto più propensi al cambiamento e il 75% passò alla lettera T. Critcher ha fatto ulteriori specifiche su quest’esperimento:
“In realtà abbiamo fatto stimare alle persone quanti minuti e secondi aggiuntivi il compito richiederebbe loro. Anche quando hanno capito di poter risparmiare tempo, erano comunque riluttanti a farlo.”
Come possiamo tornare sui nostri passi?
Questo bias cognitivo ha spesso implicazioni nella vita di tutti i giorni. Per esempio, quando sul posto di lavoro si percorrono una serie di vicoli ciechi, per poi rendersi conto che c’è un modo migliore e più semplice per raggiungere un determinato risultato.
“In molti contesti, in realtà, un percorso più efficiente diventa ancora più chiaro nel corso del primo tentativo”, spiega Critcher.
L’avversione al doppio ritorno è un pregiudizio cognitivo distinto, diverso dalla fallacia del costo affondato, per cui molte persone si rifiutano di abbandonare una linea d’azione fallita. Nel caso del doppio ritorno, infatti, si parla di resistenza a come si affronta un obiettivo e non di resistenza ad abbandonare un obiettivo fallito.
Critcher e Cho hanno spiegato che un valido modo per ridurre questo circolo potrebbe essere lo smettere di vedere i propri sforzi passati come uno spreco di energie e di tempo, ma piuttosto come un processo che ha fatto imparare qualcosa. Alcune strategie pratiche possono essere il conservare i risultati dei propri sforzi passati (per esempio, conservare dei file nel computer); oppure, definire lo spreco in termini di futuro, che è da stabilire, piuttosto che di passato, che rimane immobile nel tempo.
Scritto da: Gaia Cobelli
Fonti: Focus, US Berkeley Haas
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