di Redazione NCI
Solo due paesi del G7 praticano la pena di morte: Stati Uniti e Giappone. Proprio nel secondo, è salita alla ribalta la risoluzione di un caso, o meglio errore, giudiziario. Si tratta della vicenda di Iwao Hakamada, il condannato alla pena di morte più longevo della storia.
Il suo “reato”
L’uomo in questione è un 89enne Giapponese, che nel 1968 era stato condannato per quattro omicidi. Avrebbe ucciso il capo della ditta di miso in cui lavorava e la sua famiglia, ovvero la moglie e i due figli adolescenti del datore di lavoro, e avrebbe poi bruciato la loro abitazione.
Dopo la condanna, sua sorella Hideko Hakamada, poco maggiore di lui, ha iniziato una campagna per dimostrare la sua innocenza. Alcuni addetti alle investigazioni avrebbero creato delle prove false, come i vestiti che si diceva indossasse il giorno dell’omicidio. Effettivamente si è scoperto che il sangue trovato sulla maglietta usata come prova aveva un DNA che non era suo. Un’altra prova falsa consiste nella “confessione” fatta dall’uomo durante interrogatori disumani, volti a forzare una dichiarazione imponendo dolore fisico e mentale.
Il risarcimento
Dopo numerose peripezie giudiziaria si è svolto il 26 settembre il processo che lo ha assolto. Gli sono stati riconosciuti 12.500 yen (circa 78 euro) per ogni giorno passato ingiustamente in carcere, la cifra complessiva è di 217.362.500.000 yen (1.340.691.900 euro). Per sua sorella e il team legale il denaro non compenserebbe ciò che ha passato. Decenni di detenzione, con la minaccia di esecuzione incombente, hanno avuto un impatto notevole sulla salute mentale di Hakamada, ora 89enne, anche perché l’esecuzione poteva avvenire da un giorno all’altro per tutti questi anni. Addirittura al processo egli era rappresentato dalla sorella, data la sua condizione.
La pena di morte
“Mentre celebriamo questo atteso giorno di giustizia per Hakamada, ci viene ricordato il danno irreversibile causato dalla pena di morte. Esortiamo con forza il Giappone ad abolire la pena di morte per impedire che ciò accada di nuovo”, ha affermato Boram Jang, ricercatore di Amnesty International per l’Asia orientale. La pena di morte gode di alti livelli di sostegno pubblico in Giappone. Un sondaggio governativo del 2019 ha rilevato che l’80% degli intervistati considera la pena capitale “inevitabile”, mentre solo il 9% sosteneva l’abolizione.
Il caso di Hakamada è “solo uno degli innumerevoli esempi del cosiddetto sistema di giustizia degli ostaggi” del Giappone”, ha affermato Teppei Kasai, funzionario del programma Asia per Human Rights Watch. “I sospettati sono costretti a confessare attraverso lunghi e arbitrari periodi di detenzione” e spesso c’erano “intimidazioni durante gli interrogatori”.
Fonti: The Guardian, Tgcom24, tio.ch e Amnesty
Articolo di Noemi Barlocco per Nasce Cresce Ignora
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