Nonostante la ricerca medico-scientifica continui a progredire in maniera spedita, vi sono ancora molte patologie che, purtroppo, non hanno una cura. Ma in alcune situazioni cliniche, oltre alla cura, riveste una grande importanza la tempestività della diagnosi. Una diagnosi tardiva, che avviene solo all’emergere dei sintomi, può essere fatale per il paziente. Giocare in anticipo è fondamentale, soprattutto, nelle malattie neurodegenerative. A tal proposito, di recente, è stato pubblicato uno studio sul Journal of the American Chemical Society che potrebbe segnare un punto di svolata per la diagnosi precoce del Parkinson.
Alla base di questo studio, c’è stato l’aiuto fondamentale di Joy Milne, un’ex infermiera scozzese. La donna scoprì di essere in grado di percepire l’odore della malattia sulla pelle del marito, anticipando di 12 anni la diagnosi. La sua ipersensibilità agli odori le consente di fiutare sull’epidermide delle persone malate, le diverse concentrazioni molecolari contenute, in percentuale maggiore rispetto ad un individuo sano, nelle secrezioni di sebo. Nello specifico, le molecole in questione sono: acido ippurico, eicosano e ottadecanale. Questa sua particolare abilità è servita da punto di partenza per gli scienziati, autori della ricerca.
L’abilità olfattiva dell’infermiera scozzese in pensione ha fatto intuire ai ricercatori che una diagnosi precoce era possibile. Il punto focale dello studio è rappresentato dal sebo. Il sebo è una sostanza oleosa, prodotta dalle ghiandole sebacee, e presente su tutta la pelle. La sua funzione principale è quella di mantenere l’epidermide idratata, prevenendo l’evaporazione del sudore, aiutando cosi la regolazione della temperatura corporea. L’aumento della produzione di sebo è un noto segno del Parkinson.
Da qui l’intuizione di effettuare dei prelievi di sebo, poco invasivi e rapidi. Nonostante la ricerca sia ancora nelle fasi iniziali, è stato sviluppato un test rapido che prevede il passaggio di un bastoncino di cotone sulla nuca, per prelevare il sebo. Successivamente, tramite l’analisi del campione è possibile identificare le eventuali molecole associate alla malattia. Finora, il gruppo di lavoro guidato dalla professoressa Perdita Barran, ha ottenuto risultati incoraggianti. Il test sviluppato è stato provato su 79 persone affette da Parkinson e su 71 individui sani. Se l’efficacia dovesse mantenersi anche al di fuori di situazioni protette, come quelle del laboratorio, vi sarebbe una vera e propria svolta nella diagnosi della malattia.
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