Annoverato tra i più importanti registi della storia del cinema, Martin Scorsese, nato a New York il 17 novembre del 1942, festeggia oggi l’80esimo compleanno. Figlio di un impiegato di una lavanderia e di una sarta, Scorsese discende da immigrati italiani della provincia di Palermo. Vive un’infanzia e adolescenza difficili, fatica ad integrarsi tra i suoi coetanei e viene emarginato per la sua minutezza e la sua asma. Quest’ultima, oltretutto, gli preclude molte attività, tra cui ogni tipo di sport.
Per sopperire alla solitudine e l’isolamento si dedica a interessi alternativi; si lega così al mondo del cinema, guardando soprattutto ai filoni western e neorealista. Sviluppa inoltre un profondo rapporto con la chiesa, arrivando ad intraprendere gli studi per diventare prete, ma presto abbandona questa strada.
L’amore per l’inventare storie e la passione per le infinite possibilità che la mente può offrire nascono fin dalla giovanissima età. Martin Scorsese inizia disegnando semplici storyboard da lui ideati, che mostra al suo migliore amico. Raggiunti i 18 anni si iscrive alla New York University, scegliendo il corso di cinematografia, che gli permette di dirigere i primi cortometraggi. Di questi si ricorda “La grande rasatura“, che sintetizza quello che sarà il successivo cinema di Scorsese. Il primo film, dal titolo “Chi sta bussando alla mia porta“, risale al 1968, finanziato da un prestito dell’università. Durante la sua travagliata realizzazione il regista è anche chiamato alla regia del thriller “I killers della luna di miele” ma, poco dopo, viene sostituito. Sperimenta diversi stili, collaborando alla realizzazione di due documentari, per poi trasferirsi ad Hollywood. Qui inizia il suo successo.
Nel 1972 realizza il film “America 1929 – Sterminateli senza pietà“, prodotto dalla American International Pictures. Ne segue subito un altro con la stessa troupe, “Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno“, a lungo pensato dal regista e molto personale. Quest’ultimo delinea lo stile registico che Martin Scorsese assumerà sempre più con il passare del tempo. Al 1974 risale “Alice non abita più qui“; l’interprete della protagonista, Ellen Burstyn, vince con esso l’Oscar come miglior attrice. Il ’74 è anche l’anno del documentario “Italoamericani“, nel quale Scorsese intervista i suoi genitori per mostrare come fosse la vita degli immigrati italiani a New York.
Non è raro che il regista riservi una parte ai genitori all’interno delle sue pellicole; la madre, Catherine, aveva esordito in uno dei primi cortometraggi, “Non sei proprio tu, Murray“. Ai tempi di “Italoamericani” aveva già recitato in “Chi sta bussando alla mia porta” e “Mean Streets” e avrebbe avuto un ruolo anche in “Re per una notte“, “Quei bravi ragazzi“, “Cape Fear – Il promontorio della paura“, “L’età dell’innocenza” e “Casinò“. Il padre, Charles, accompagna la moglie in “Re per una notte“, “Quei bravi ragazzi“, “Cape Fear” e “L’età dell’innocenza“. Il figlio lo dirige inoltre in “Toro scatenato“, “Fuori orario” e “Il colore dei soldi“.
Il 1976 fa da sfondo al primo capolavoro di Martin Scorsese, dal titolo “Taxi Driver“. Dalla sapiente e vissuta mano di Paul Schrader, che imprime nella sceneggiatura a tratti esistenzialista le sue paure ed insicurezze, Scorsese trae un film annoverato tra i più grandi mai realizzati. Il suo nome si diffonde sempre più, risultando tra i registi più promettenti della sua generazione, e “Taxi Driver” ottiene quattro nomination agli Oscar e la Palma d’oro al Festival di Cannes. Tra le candidature figura quella per la miglior colonna sonora, realizzata da Bernard Herrmann; il compositore, anch’egli tra i più imponenti della storia del cinema, è particolarmente noto per la sua lunga collaborazione con Alfred Hitchcock. Sua è l’iconica colonna sonora della “scena della doccia” in “Psycho“, oltre a quelle dei film “Marnie“, “La donna che visse due volte“, “Intrigo internazionale” e “L’uomo che sapeva troppo“. “Taxi Driver” è dedicato alla sua memoria, in quanto Hermann muore prima che esca nelle sale.
È impossibile parlare di “Taxi Driver” senza ricordare la fenomenale interpretazione di Robert De Niro, nei panni del protagonista Travis Bickle. Per recitare nel film, l’attore si è preparato con uno studio delle malattie mentali e sei mesi di lavoro come tassista. Degna di nota è la sua improvvisazione nella scena più celebre del film, il monologo di Travis davanti allo specchio con la pistola. Scorsese aveva già lavorato con De Niro in “Mean Streets“, che aveva fatto “scoccare la scintilla”; il regista aveva apprezzato la recitazione di De Niro al punto da volerlo in numerosi altri film. È così che l’attore ha ottenuto la parte in “Taxi Driver” e, in seguito, in “New York, New York“, “Toro Scatenato“, “Re per una notte“, “Quei bravi ragazzi“, “Cape Fear“, “Casinò” e “The Irishman“.
L’idillio di “Taxi Driver” ha però vita breve: l’anno seguente, infatti, esce il musical “New York, New York“, che non riscuote il successo sperato. Scorsese accusa il colpo cadendo in una fase buia della sua vita, caratterizzata da depressione e abuso di sostanze. Nonostante la riuscita dei documentari “Ragazzo americano” e “L’ultimo valzer“, quest’ultimo incentrato sul gruppo The Band, la crisi dura fino a settembre 1978. In questa fase Scorsese ha una grave emorragia interna, per la quale viene ricoverato in ospedale e a cui segue un lungo periodo di convalescenza. A tendergli il braccio per rialzarsi è proprio Robert De Niro, che oltretutto lo riaccompagna nel mondo del cinema proponendogli di girare “Toro Scatenato“. Il successo non tarda e il film, che racchiude tutta la sofferenza di Scorsese in quel periodo e che, a detta sua, sarebbe stato il suo ultimo lavoro, riceve due Oscar.
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