Nonostante la recente eliminazione ai quarti di finale del Brasile dopo i calci di rigore contro la Croazia dal Mondiale di Qatar 2022, della Nazionale di Tite rimarrà ancora la squadra più vincente della storia dei Mondiali, avendo conquistato il titolo ben cinque volte. Ovviamente la delusione per l’accaduto è grande; difatti, il calcio è molto più che uno sport fra le colorate vie delle città brasiliane. E chiunque abbia avuto la fortuna di visitare il Paese avrà sicuramente notato che in ogni angolo, è possibile vedere persone di tutte le età che, anche negli spazi più improbabili, riescono a divertirsi con un pallone fra i piedi.
Il calcio è parte integrante della cultura carioca, tanto da ispirare opere d’arte e modi di dire usati nella quotidianità dai brasiliani. Uno di questi è il termine “Maracanazo“, che spesso le casalinghe utilizzano per indicare un inatteso problema verificatosi fra le mura di casa. La parola, che suscita una certa simpatia agli ascoltatori stranieri, in realtà deriva da una delle pagine più tristi della storia del Brasile: la finale dei Mondiali 1950, giocata proprio al Maracanã di Rio De Janeiro, dai padroni di casa contro l’Uruguay…
La prima edizione dei Mondiali dopo lo stop forzato a causa della Seconda Guerra Mondiale si disputa in Brasile, unico Paese candidato; gli Stati europei, ancora dilaniati dal conflitto, non sarebbero riusciti ad ospitare una competizione così importante.
I padroni di casa si fanno strada a gonfie vele verso la finale, grazie ad una rosa di altissimo livello e al sostegno incessante dei tifosi di casa. Il Brasile schiera nomi importanti come il portiere Barbosa e gli attaccanti Jair e Ademir e sulla carta è la squadra favorita per la vittoria finale. L’Uruguay invece, ha un cammino molto più tortuoso ma grazie al talento del capitano Obdulio Varela e del regista Schiaffino riesce a ritagliarsi la possibilità di giocare la finale contro il Brasile.
Il 16 luglio 1950 al Maracanã di Rio De Janeiro scendono in campo le due formazioni, e i pronostici sono tutti a favore dei verdeoro. I giornali brasiliani titolano già “Brasil Campeao 1950” e la Federcalcio brasiliana regala agli atleti degli orologi come premio per la sicura vittoria del Mondiale. La partita con l’Uruguay dovrebbe quindi essere poco più di una formalità, i fantasisti brasiliani schiacceranno la difesa ospite e alzeranno la loro prima Coppa del Mondo; questo è quello che pensano tutti i tifosi verdeoro, che non hanno ancora fatto i conti con l’orgoglio degli uruguagi…
Gli spalti dello stadio sono gremiti: 199 854 spettatori ufficiali, di cui solo un centinaio provenienti dall’Uruguay. L’atmosfera è surreale e la torcida brasiliana, composta per la maggior parte dai ceti medio bassi della popolazione, si scatena in un tripudio di bandiere, striscioni e cori. La gara inizia alle 15:00 e l’arrembante Brasile si porta subito in avanti, sfruttando al massimo il calore del pubblico. Di contro, gli uruguagi preparano una tattica difensiva ordinata, nella speranza di limitare al massimo le azioni corali dei padroni di casa. E la prima metà di gara dà ragione proprio alla difesa ospite, che inchioda il Brasile sullo 0-0…
La temperatura del Maracanã sembra abbassarsi vertiginosamente e Varela ne approfitta per caricare la Celeste, gridando negli spogliatoi la celebre frase “Quelli la fuori non esistono!“; qualche tifoso locale scopre una fessura che collega le tribune allo spogliatoio dell’Uruguay e dopo pochi istanti inizia un incessante lancio di oggetti all’interno della stanza. I giocatori uruguagi devono nascondersi e al rientro in campo sono decisamente lontani dalla concentrazione del primo tempo.
Ne approfitta il Brasile, che dopo pochi secondi dalla ripresa del gioco si ritrova proiettato in avanti. Il cross di Ademir è perfetto e Friaça deve solo appoggiare in rete. La Seleçao è finalmente in vantaggio e il Maracanã diventa una bolgia incontenibile; Varela protesta con l’arbitro e permette ai suoi compagni di guadagnare minuti preziosi per riorganizzarsi. In effetti l’Uruguay ritorna a giocare in maniera organizzata, per nulla scosso dal vantaggio brasiliano. Al 66′ Ghiggia salta sulla fascia un avversario e mette in mezzo, dove arriva la puntuale deviazione in rete di Schiaffino, che riporta il pareggio; lo stadio si zittisce e il Brasile perde i nervi, lanciandosi in avanti alla ricerca disperata del nuovo vantaggio.
Ancora una volta, la lucidità dell’Uruguay ha la meglio: sempre l’indemoniato Ghiggia semina il panico sulla destra, poi converge verso la porta. Il portiere Barbosa si aspetta un cross e si sposta verso il centro dell’area, lasciando libero un piccolo spazio sul primo palo; Ghiggia non se lo fa ripetere due volte e calcia, trafiggendo l’estremo difensore verdeoro e portando in vantaggio l’Uruguay al 79′. Gli ultimi 10 minuti di gara vedono un Brasile che cerca in tutti i modi di trovare la rete, ma la compatta difesa della Celeste annulla le ultime sortite offensive dei padroni di casa. Al triplice fischio finale è successo l’impossibile: l’Uruguay è campione del mondo.
Ciò che è successo dopo la fine della partita ha assunto nel tempo una connotazione quasi mitologica. I racconti parlano di decine di persone che sugli spalti dello stadio vengono colpite da infarti; altri invece, decidono di suicidarsi poiché hanno giocato tutto sulla vittoria del Brasile. Il conteggio finale dirà 34 suicidi e 56 decessi per arresto cardiaco.
La festa di premiazione, impreparata alla vittoria dell’Uruguay, si svolge ai limiti del grottesco; la guardia d’onore preparata per il Brasile non si può svolgere perché tutte le guardie sono in lacrime e alla fine, Jules Rimet si avvicina al capitano Varela e gli consegna la Coppa nel silenzio generale di uno stadio gremito.
I giornali brasiliani il giorno dopo titolano: “La peggior tragedia della storia del Brasile” e gli effetti sulla cultura calcistica del Paese sono devastanti. La Nazionale decide di non scendere più in campo, e in effetti non lo farà per i successivi due anni. La maglia bianca con colletto blu, fino a quel momento divisa ufficiale, viene sostituita dalla maglia gialloverde che renderà celebre il Brasile, e non tornerà ad essere indossata in un torneo ufficiale fino alla Copa America 2019.
Gli echi di quella sonora sconfitta si sentono ancora oggi nelle parole di qualche anziano, che col termine “Maracanazo” rievoca ogni volta la pagina più oscura della storia sportiva del Brasile…
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