Attualità

Moderatrice denuncia TikTok: costretti a condizioni disumane

Una moderatrice di TikTok ha deciso di citare in giudizio il social network e la sua società madre, ByteDance, per trauma psicologico. La donna, Candie Frazier, ha presentato una class action (un’azione legale condotta da uno o più soggetti di una determinata categoria) contro l’azienda cinese perché “costretta a visionare centinaia di ore di materiale raccapricciante ogni settimana“. I video che i moderatori devono controllare ogni giorno contengono spesso scene di pedofilia, cannibalismo e violenza brutale ecc.

Le accuse della moderatrice

La moderatrice ha spiegato di lavorare in condizioni disumane. Nella class action presentata, la donna ha affermato che  TikTok costringe i suoi dipendenti a dei ritmi estenuanti. I moderatori hanno dei turni di circa 12 ore, una pausa di solamente 15 minuti nelle prime quattro ore di turno e altre pause di 15 minuti ogni due ore. Candie spiega come lei e suoi colleghi si trovino costretti ad osservare da tre a dieci video contemporaneamente, con nuovi video caricati ogni 25 secondi. I filmati spesso contengono “migliaia di atti di violenza estrema e palese“. L’azienda però non avrebbe mai fornito a lei ed i suoi colleghi le opportune tutele, soprattutto in materia di assistenza psicologiche. ByteDance inoltre sorveglia con attenzione i moderatori, che punisce severamente in caso si distrazione dal proprio lavoro.

TikTok si difende

Non si è fatta attendere la risposta del social network cinese. I gestori hanno affermato di avere creato “un ambiente di lavoro attento e premuroso nei confronti degli impiegati“. L’azienda ha specificato di voler “estendere la gamma dei servizi rivolti al benessere mentale dei moderatori“. La denuncia di Candie Frazer intanto va avanti: ad occuparsi del caso è uno studio che pochi anni fa è riuscito a ottenere da Facebook un risarcimento da 52 milioni per i suoi dipendenti. Quanto raccontato dalla moderatrice di TikTok è molto simile alle segnalazioni sollevate dai suoi colleghi di altre realtà come Facebook, YouTube e Google. Anche qui alcune testimonianze raccontano di condizioni di lavoro molto degradanti. Purtroppo non si può fare molto per cambiare questo lavoro, ma aiutare i propri dipendenti è un dovere, che sempre più spesso viene dimenticato.

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di Davide Gerace

Redazione NCI

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