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LO SAPEVI CHE? – L'”accabadora” la donna “strega” che praticava l’eutanasia in Sardegna

Il folklore genera sempre un certo fascino, soprattutto in un Paese come il nostro, che rappresenta un realtà olistica di tante regioni diverse, ognuna con delle proprie peculiarità e il proprio compendio di tradizioni. La Sardegna, fra le altre, è una di quelle che più di tutte cela un sostrato folklorico antico che affonda le sue radici in tempi remoti e spesso a noi ignoti, a causa di una trasmissione intragenerazionale praticata oralmente. Esiste, tuttavia, una figura che si trova a metà tra la leggenda e la realtà, molto conosciuta nel centro della Sardegna, e frutto di numerosi racconti e testimonianze; si tratta dell'”accabadora“, l’angelo della morte dei malati terminali. Andiamo quindi a scoprire questa inquietante figura, su cui tanto si è scritto e parlato.

L’immaginario dell’accabadora e il suo ruolo

L’origine di questa figura è ignota, tuttavia è molto viva all’interno delle tradizioni sarde, che mantengono viva la memoria (reale?) di questa donna, portatrice di morte per i malati terminali; il suo nome, infatti, deriverebbe dal sardos’accabu” (la fine), oppure dal verbo spagnoloacabar” (finire). L’immaginario intorno a questa donna è talmente forte che, come una cassa di risonanza, i suoi echi hanno stimolato l’interesse e la creatività di numerosi artisti, tra cui Michela Murgia, recentemente scomparsa, autrice di un romanzo specifico in materia, oppure ricordiamo il film “L’accabadora” (2015) di Enrico Pau.

Il ruolo dell’accabadora non era affatto dei più lievi, in quanto praticava una forma di eutanasia per i malati terminali. Considerando che questa figura affonda le sue radici nei secoli, è importante tenere in considerazione che le cure mediche spesso erano inefficaci se non totalmente assenti; la morte, quindi, rappresentava l’ultima e unica fonte di speranza per i malati, lasciati altrimenti in balia delle loro agonie.

La famiglia del malato, quindi, contattava questa donna, che secondo la tradizione indosserebbe un abito completamente nero. Allontanata la famiglia dall’abitazione, l’accabadora procedeva con il suo macabro operare; utilizzando un bastone d’olivo (so matzulo), infatti, colpiva violentemente la fronte o la nuca del malato, ponendo fine alle sue sofferenze. Non mancano tuttavia altre versioni, che sostengono che la morte avverrebbe sottoforma di strangolamento, soffocamento o a colpi di pugnale.

 

(@Shutterstock)

Accabadora: la parola all’antropologia

Al di là di quelle che possono essere le suggestioni e i racconti popolari, il fenomeno dell’accabadora è stato studiato in maniera assai più metodologica e scientifica dall’antropologia. Francesco Alziator, infatti, è stato un antropologo nativo, nonché uno tra i massimi studiosi del folklore sardo, componendo numerosi saggi sulle tradizioni autoctone, allo scopo di salvaguardarle. L’accabadora, pertanto, non poteva passargli inosservata. Alziator sottolineava (all’interno del saggio “Il folklore sardo“), tuttavia, un aspetto fondamentale, ovvero la scissione tra quella che era la realtà magico-rituale e quella invece materiale e fisica della morte per eutanasia.

L’accabadora, infatti, potrebbe riferirsi sia a una donna “strega“, che aiutava l’anima del malato a trapassare dal corpo fisico, mediante un rituale che non aveva tuttavia nulla di violento e che non portava alla morte fisica del malato. Il suo ruolo, pertanto, era soprattutto di conforto, e non era inusuale che nella Sardegna rurale si facesse appello a questa donna. Allo stesso modo, tuttavia, ci si può riferire all’accabadora che sopprime in maniera fisica la vita di una persona. In ogni caso, Alziator è piuttosto scettico sull’esistenza di quest’ultima figura, sostenendo altresì che è inusuale che il mondo episcopale sardo non si sia mai mosso per denunciare questa pratica.

Gli scritti di Butta e il museo etnografico di Galluras

Sulla stessa linea si è espresso il giornalista Italo Butta, che, in un’opera intitolata “L’accabadora immaginaria. Una rottamazione del mito“,  seppur alla ricerca di una verità storica dietro il mito, attua una forma di destrutturazione di quest’ultimo, partendo da un’attenta analisi di tutte le fonti in materia a partire dall’Ottocento, periodo in cui compare per la prima volta il termine “accabadora“. Sulla falsariga di Alziator, anche lui sostiene che vi sia una sovrapposizione tra la donna “strega”, collegata a un significato magico-rituale, e la donna “violenta”, quest’ultima tuttavia storicamente non fondata.

Sottolineiamo, infine, che presso il museo etnologico di Galluras è possibile contemplare quello che dovrebbe essere il bastone dell’accabadora, così come il suo vestiario; come nelle migliori storie, quindi, anche quella della acabbadora si perde tra presunti reperti e testimonianze, fino alle leggende.

Fonti: Unione Sarda, CICAP, Ricerca Università Cagliari, Wikipedia

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Lorenzo Peratoner

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