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Juventus, la disfatta con l’Atalanta segna la fine della stagione?

Sulla stagione della Juventus sono state dette tante cose, molte delle quali dettate solo dal momentaneo stato di forma della squadra. Ora è giunto il momento di tirare le somme, visto che la disfatta subita contro l’Atalanta ha di fatto cancellato le speranze di poter rincorrere lo Scudetto fino all’ultimo. Al 10 marzo la Juventus è fuori da Champions League e Coppa Italia, è ritornata a -9 dall’Inter capolista e deve difendere un quarto posto che non è più così saldo.

Il tracollo dei bianconeri, usciti fra i fischi e le urla del proprio pubblico, fotografa bene questa stagione: si vede qualche spunto, qualche principio di gioco, ma fra errori tecnici individuali, una forma fisica non al livello e poca armonia fra i reparti, la Juventus è ancora un blocco di marmo ben lontano dal diventare statua.

Il successo per 4-0 dell’Atalanta all’Allianz Stadium ha scatenato la rabbia del popolo juventino e la consueta caccia alle streghe tipica del lato calcistico dei social network. La verità, purtroppo, è un’altra: in questa Juve non c’è un vero colpevole, i problemi partono dalla cima della cupola e si propagano fino agli ultimi mattoni.

Thiago Motta (@Shutterstock)

#MottaOut e le altre poltrone che scricchiolano

Ovviamente il primo indiziato è sempre l’allenatore, accusato da buona parte della tifoseria (specie quella che da sempre sostiene a spada tratta l’ex allenatore Allegri) di essere un giochista fin troppo convinto delle sue capacità, delle sue scelte e della sua filosofia calcistica.

È vero che ad oggi la Juventus non ha né equilibrio né identità, ma è altrettanto vero che Thiago Motta è al primo anno in un grande club e non ha trovato ad aspettarlo un nucleo saldo di veterani: a luglio la Continassa era un cantiere aperto, e fra arrivi e partenze più di metà squadra ha cambiato faccia.

Normale che ci voglia del tempo. In meno di una stagione, Motta è passato dall’essere l’artefice visionario del miracolo Bologna ad essere una specie di Simone Mago del “bel gioco”; nemmeno a Bologna fece bene alla prima stagione, ma le pressioni erano diverse e un anno dopo i rossoblù sono stati ripagati della fiducia.

Sicuramente ci sono stati degli errori, vedi la gestione di Douglas Luiz e Fagioli, ma esonerarlo oggi o a fine stagione vorrebbe dire buttare all’aria un altro anno di lavoro. L’unico modo per arrivare ai risultati è continuare su questa strada, dare la continuità giusta al progetto e poi tirare le somme dopo almeno due stagioni e quattro finestre di mercato.

Parlando di mercato, bisogna anche analizzare il lavoro di Giuntoli, tanto acclamato in estate quanto criticato successivamente. I 100 milioni spesi per Koopmeiners e Nico Gonzalez gridano vendetta, ma ad oggi non si può far altro che continuare a credere in questi due giocatori e sperare che tornino al meglio.

I tifosi rimpiangono le cessioni, specie quelle di Soulé e Huijsen, le stesse che sono state necessarie per riallineare il bilancio e potersi permettere un mercato autofinanziato: non erano scelte sbagliate all’epoca e non lo sono ora, se non alla luce dei tanti infortuni occorsi. I veri problemi, nel caso, sono arrivati a gennaio, visto che a parte Kolo Muani gli altri acquisti non hanno certo reso come ci si aspettava.

La Juventus ora si trova al quarto posto, a quota 52 punti. La Lazio segue a 51, il Bologna a 50 e la Roma a 46. Con ancora 10 partite da giocare e 30 punti potenziali, l’accesso in Champions League è tutto meno che al sicuro. L’ultimo obiettivo per cui i bianconeri dovranno lottare sarà proprio l’accesso alla massima competizione europea: perdere il quarto posto sarebbe un chiaro fallimento, senza sé e senza ma. La gara di domenica con la Fiorentina sarà già decisiva in tal senso.

Certo che, dopo 4 anni di delusioni e cambiamenti, è normale chiedersi se in realtà i problemi non stiano da qualche altra parte, radicati in una società che ormai è ben lontana dallo “Stile Juve” e da anni fa la guerra ai suoi stessi tifosi cercando di favorire ed internazionalizzare il brand. Fra prezzi dei biglietti esorbitanti e rapporti tesissimi con la tifoseria organizzata, l’Allianz Stadium è diventato l’ombra della fortezza che era un tempo.

E forse la rivoluzione deve partire proprio da questo, dalla riscoperta di una storia di nobiltà e successi che oggi sembra dimenticata.

Allianz Stadium (@Shutterstock)

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Alessandro Colepio

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