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Italia prima per Neet, giovani che non studiano e non lavorano

di Redazione NCI

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Si chiamano “Neet“: Not in education, employment or training, i giovani che non studiano, non lavorano e non seguono alcun percorso di formazione.

Gli ultimi dati Istat (2021) confermano le preoccupazioni: nel 2020 i giovani che non studiano e non lavorano in Italia hanno raggiunto il dato medio del 23,3%. Ed è il Nord a crescere maggiormente, segnando un +2,3% rispetto al 2019. Inoltre, secondo i dati Eurostat della scorsa primavera, fra le ragazze la percentuale delle Neet sale al 25,4% (oltre una su quattro).

Neet, giovani in bilico tra rinuncia e desiderio

Questo è il titolo del nuovo studio dell’Unicef che, basandosi su dati Istat del 2018, sottolinea il triste primato dell’Italia, che si piazza al primo posto nella graduatoria dei Neet (tra gli Stati dell’Unione europea).

L’emergenza legata al coronavirus ha, infatti, accentuato le differenze già esistenti tra le opportunità offerte dai vari territori, creando una forte divergenza tra chi ha comunque modo di accedere ad attività educative, lavorative e di formazione in generale, grazie ad una buona condizione socio-economica, e chi non può farlo.

neet

La Dad ha accentuato il problema?

Non è difficile immaginare come la didattica a distanza possa aver acuito il problema, sottraendo all’istruzione e all’istituzione scolastica il ruolo di collante sociale. Un collante sociale necessario a permettere  alle fasce sociali più deboli di ricevere una formazione adeguata, di approcciarsi a diversi contesti e uscire dalla “ghettizzazione”.

L’alienazione di determinate fasce è la prima promotrice dei Neet; giovani senza futuro, senza aspettative e con sogni infranti dalla realtà italiana che, già priva di sbocchi, è peggiorata grazie alla pandemia.

Questa è il percorso in cui l’Italia si è già avviata da molti anni, in particolare con la crisi del 2008-2009 e che non sembra voler abbandonare neppure nel 2022. Se infatti il Coronavirus occupa, giustamente, il primato di problema principale, non bisogna neppure trascurare l’abbandono in cui versano le giovani generazioni. Un abbandono avviato ormai da molti anni e per cui la classe dirigente non sembra volersi prendere responsabilità.

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Denise Michela Pengue

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