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Insidious: La porta rossa, la recensione: la conclusione della saga horror

di Alice Casati

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La data del 5 luglio 2023 pone fine alla celebre saga horror Insidious, con l’uscita del suo quinto e ultimo capitoloLa porta rossa“. Segnando la fine di un percorso, il film ne avvia però un altro: si tratta infatti del debutto alla regia di Patrick Wilson, che nella saga interpreta Josh Lambert. Prodotto da Sony Pictures e distribuito da Eagle Pictures, la pellicola riunisce il cast originario di Insidious, chiudendo una volta per tutte la terrificante storia della famiglia Lambert.

L’ultimo viaggio “oltre i confini del male”

Il quinto capitolo di Insidious riprende la storia dei primi due, ambientandosi anni dopo i loro eventi. Un ormai diciottenne Dalton è in partenza per il college, provato dal divorzio dei genitori, dalla recente scomparsa della nonna paterna e, inconsciamente, dai terrificanti avvenimenti del suo passato, di cui però non ricorda nulla. Di questo vuoto nella memoria soffre anche Josh, che fatica a comunicare con il figlio e a recuperare un rapporto con lui. Una volta giunto al college, però, le abilità di Dalton sembrano risvegliarsi, mostrandogli una realtà che aveva scelto di dimenticare ma che in fondo non lo aveva mai lasciato andare davvero. Qualcuno lo vuole ancora, e, dopo tutti quegli anni, non sembra intenzionato a cedere.

Per liberarsi dalle entità che li perseguitano, Josh e Dalton dovranno ricordare il loro doloroso passato e unire le loro forze. Un ultimo viaggio nell’Altrove sarà sufficiente a risolvere il mistero della porta rossa e chiudere finalmente con l’aldilà?

Il coronamento della saga di Insidious

Trattandosi del capitolo conclusivo della saga horror, il film riprende e chiude questioni lasciate in sospeso nei film precedenti. Non era imprevedibile che l’eliminazione dei ricordi di Josh e Dalton nel secondo capitolo non sarebbe stata sufficiente a preservare la famiglia dalle entità che la perseguitano. Il rapporto tra padre e figlio è una componente fondamentale della pellicola, approfondita specialmente nella prima parte. Procedendo sempre di più verso la fine, però, finisce per subire la stessa, tragica condanna di molti elementi del film: una risoluzione sbrigativa e una conclusione decisamente affrettata. La facilità con cui i problemi vengono risolti sul finale si ripercuote anche sulla missione di confinare l’Altrove. Intorno al climax finale, infatti, vengono adottate trovate narrative che quasi minimizzano la gravità di tali problemi, il peso raggiunto dall’altra dimensione e dal (in teoria) villain principale della saga, il “demone dalla faccia rossa“.

Insidious: La porta rossa” è evidentemente un capitolo finale, ma la fretta di concludere non ha giovato alla sua riuscita. Le responsabilità che i film precedenti gli conferivano hanno finito per pesare troppo sulla scrittura del film, che, se inizialmente ha rispettato i suoi predecessori, sul finale è risultata povera e priva di inventiva di sorta.

 

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Il ritorno dei fantasmi del passato per i due protagonisti

Come accennato all’interno della trama, protagonisti del film sono Josh Lambert e il figlio Dalton. Nei primi capitoli avevamo appreso della loro capacità di compiere esperienze extracorporee e, allontanandosi dalla loro dimensione, di raggiungere l’Altrove, dove si trovano le anime dei defunti. Dopo gli eventi del secondo film, in particolare la possessione di Josh e il tentato omicidio della famiglia per mano “sua”, i due avevano concordato sul dimenticare tutta l’esperienza, incluso il loro potere. Qui il passato torna a tormentare le loro vite e, contrariamente a quanto creduto anni prima, l’unica soluzione sembra proprio quella di ricordare. Il tema dell’importanza della memoria e dei ricordi è fondamentale, ma, come gran parte del film, appare in parte limitato e superficiale.

Il rapporto tra Josh e Dalton trova ampio spazio all’interno della trama; entrambi soffrono dei “fantasmi” del loro passato e dell’incapacità di dare loro una forma precisa. Benché non abbiano memoria degli eventi, avvertono una forte incomunicabilità tra loro, come se i segni lasciati dalla loro storia fossero più forti anche di loro stessi. La resa del loro legame, escluso il finale, è inaspettatamente approfondita, a volte ponendosi proprio al centro della pellicola.

Paragrafo 3

Insidious: La porta rossa” ha costituito l’esordio alla regia di Patrick Wilson, protagonista della saga come di altri importanti titoli horror come The Conjuring e Annabelle. Con questo film Wilson si pone in una posizione opposta rispetto a quella sempre ricoperta, cimentandosi in prima persona nella regia di un horror di questo tipo, ma senza rinunciare al suo ruolo nel cast. Ne otteniamo una regia che aderisce ai canoni della saga, se non innovativa comunque valida. Chiaramente risente di diverse limitazioni, trattandosi del proseguimento di una serie e dunque dovendone mantenere lo stile e riprendere la trama. A testimonianza di ciò menzioniamo la gestione dei jumpscare, di cui alcuni ben costruiti e altri meno riusciti, soprattutto nel finale, ma tutti difficilmente imprevedibili. Pur non brillando come esordio, potrebbe essere l’avvio di un regista che, con più margine di libertà, sarebbe in grado di realizzare un prodotto più innovativo e originale.

 

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Considerazioni finali

L’ultimo capitolo di Insidious torna alla storia iniziale della saga, ambientandosi però dieci anni dopo i suoi eventi. Riprendendo le questioni sospese dei capitoli precedenti, non si dimostra in grado di svilupparle e concluderle in maniera organica, prediligendo un approccio metodico all’inizio e sbrigativo alla fine. Ciò comporta la parziale banalizzazione di alcune di esse, la cui risoluzione non rispecchia l’attesa costruita. Rispetto agli altri film si sofferma maggiormente sul rapporto tra Josh e Dalton, che condividono un potere che è anche una condanna. La regia di Patrick Wilson è valida al netto di una saga di per sé limitata, che dunque non consente accessi di inventiva a livello stilistico e narrativo.

A conti fatti un film conclusivo, ma che non conclude proprio come dovrebbe; una maggiore cura per la risoluzione delle questioni più importanti gli avrebbe sicuramente giovato. Un film che in parte alza il livello della narrazione, ma che alla fine non se ne distacca mai eccessivamente. Un film che riconferma e corona i difetti riscontrati in precedenza piuttosto che aggiustarli e che termina la saga restando ancorato a tutto ciò che l’ha sempre caratterizzata.

Pro

  • La regia di Patrick Wilson, valida nonostante le limitazioni;
  • L’interpretazione di Ty Simpkins nel ruolo di Dalton Lambert.

Contro

  • La gestione delle questioni principali del film e la loro conclusione sbrigativa;
  • Una scrittura alquanto mediocre e priva di originalità.

 

 

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