Oggi è un giorno triste per tutti i fan del calcio: Andrés Iniesta ha annunciato ufficialmente il suo ritiro dal calcio giocato. Soprannominato Don Andrés o L’illusionista, ha scritto pagine indelebili della storia di questo sport con la maglia del Barcellona e della Spagna. Nel 2018 ha lasciato la Catalogna per provare nuove esperienze, prima in Giappone al Vissel Kobe e poi con l’Emirates Club, squadra della prima divisione degli Emirati Arabi Uniti. Oggi, a 40 anni, ha deciso di voltare pagina.
La decisione del centrocampista spagnolo era già stata annunciata una settimana fa, tramite un video pubblicato sui suoi profili social, ma è stata ufficializzata oggi durante una conferenza stampa tenuta a Barcellona, lì dove è diventato grande. L’ex numero 8 blaugrana ha già dichiarato che nel prossimo futuro vorrebbe diventare allenatore.
Basterebbe il suo palmarès per spiegare cosa è stato Don Andrés: 9 campionati spagnoli, 7 Supercoppe di Spagna, 6 Copas del Rey, 4 Champions League, 3 Supercoppe UEFA, 3 Mondiali per Club, 2 Europei e per finire il celebre Mondiale del 2010, vinto dalla Spagna proprio grazie ad un suo gol in finale. A questi successi di squadra si aggiunge una lunghissima lista di premi individuali, fra cui l’essere stato scelto 6 volte per la squadra dell’anno della UEFA: nel 2010 ha sfiorato persino la conquista del Pallone d’Oro, piazzandosi secondo alle spalle del compagno Leo Messi.
Una bacheca di riconoscimenti così piena non basta comunque a rendere omaggio al genio di Fuentealbilla, piccola comunità castigliana dove Iniesta muove i primi passi e tira i primi calci al pallone. Prima le giovanili dell’Albacete, poi la chiamata del Barcellona: è l’inizio di una storia d’amore che durerà dal 1996 al 2018. Nel 2002 l’esordio, poi la crescita e l’inserimento nelle rotazioni dei blaugrana. Dalla stagione 2005/2006 diventa un titolare inamovibile del Barcellona e lo rimarrà per più di 10 anni, dirigendo la sinfonia del centrocampo dei catalani come nessun altro era capace di fare.
I suoi anni d’oro sono coincisi con il periodo di Pep Guardiola sulla panchina del Barça: assieme a Xavi e Busquets, Iniesta ha formato forse il centrocampo più forte di sempre. Nel tiki taka dell’allenatore spagnolo era lui la vera chiave di volta, capace di mescolare doti tecniche spaventose e un’intelligenza calcistica fuori dal comune per facilitare la manovra in tutte le zone del campo. Di norma sarebbe un centrocampista offensivo, in pratica gioca dove vuole: un po’ mediano e un po’ mezz’ala, all’occorrenza esterno d’attacco o falso nueve. Semplicemente, un fuoriclasse in grado di fare la differenza in qualsiasi zona del campo. La sua importanza per il sistema di Guardiola è stata sottolineata anche da Sir Alex Ferguson, che una volta si disse più preoccupato di capire come arginare il maghetto spagnolo piuttosto che Messi.
Il miglior Iniesta era in possesso di un tocco di palla probabilmente senza paragoni nella storia del calcio, che unito ad una sensibilità tecnica disumana e ad una conoscenza quasi simbiotica del gioco e dei suoi ritmi lo hanno innalzato nell’Olimpo dei fuoriclasse di questo sport. Qualsiasi appassionato di calcio è rimasto almeno una volta estasiato dalle sue giocate, da quei triangoli chiusi con precisione chirurgica, da quei dribbling nello stretto in cui la palla sembrava sparire per poi riapparire al di là dell’avversario. Proprio come farebbe un vero Illusionista.
E come dimenticare i suoi gol? 93 in carriera, molti dei quali sono stati fondamentali per il raggiungimento dei trofei che ha conquistato. Fra tutti, spiccano la rete che ha deciso la finale mondiale nel 2010 contro l’Olanda e il golazo segnato a Stamford Bridge in occasione della semifinale di Champions League del 2009. Due delle mercature più iconiche e decisive nella storia di questo sport, che anche a distanza di anni fanno ancora il giro del mondo.
La sua vita da calciatore è giunta al termine, ma siamo tutti abbastanza sicuri che ci troveremo presto a riparlare di lui: magari non con la sua iconica maglia numero 8 addosso, lontano dal cerchio di centrocampo che ha dominato per anni, ma ancora voglioso di respirare l’aria del grande calcio. Mucha suerte, Don Andrés.
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