di Gabriele Nostro
Nella giornata di ieri, a Gujarat, nell’ovest dell’India, è crollato il ponte sul fiume Machchhu. Il cedimento ha provocato la morte di 141 persone e un imprecisato, ma notevole, numero di feriti. Le fonti locali si differenziano nel definire la quantità di persone che erano sopra alla struttura al momento del crollo: c’è chi ha affermato fossero 150, chi 400. Di certo, comunque, s’è trattato di un numero di persone sproporzionato alla effettiva tenuta del ponte.
Ponte di Machchhu, chi è responsabile della sventura?
Riporta le informazioni Tgcom24. Come già preannunciato, la causa principale che ha portato al disastro è stata la sovrabbondanza di persone sul ponte. Un elemento non secondario, però, si può considerare nell’inagibilità appurata della struttura.
Questa, infatti, è stata così descritta dal governo di Gujarat, “una meraviglia dell’ingegneria costruita all’inizio del secolo (scorso)”. Quindi un’opera d’arte, d’attrazione, ma non funzionale per il transito di persone. Per renderla propedeutica a ciò, erano stati avviati dei lavori di ristrutturazione, terminati mercoledì scorso. E nonostante nessun atto avesse assicurato l’affidabilità della sua tenuta, si è deciso che il ponte potesse essere lasciato libero al transito pubblico. Una leggerezza burocratica pagata a caro prezzo, con un bilancio di morti e feriti molto alto.
La puntualità dei soccorsi ha comunque permesso il salvataggio di decine di vite. Il primo ministro indiano Narendra Modi ha condotto la sua visita sul luogo dell’incidente, manifestando cordoglio nei confronti dei familiari delle vittime, poi ha annunciato massima disponibilità per questi ultimi, promettendo loro risarcimenti in denaro e un’impegnativa azione di reintegrazione civile.
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