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Il calcio che non c’è più: analisi del perché non esistono più le favole

di Elia Mascherini

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Il calcio moderno sta cancellando, anno dopo anno, le possibilità che nell’arco di una stagione spunti una favola, ovvero una piccola squadra capace di stupire tutti e mettere in riga avversarie più blasonate. Andando indietro con la memoria, l’ultimo caso è stato nel 2016. In Inghilterra, Arsenal, Chelsea e Tottenham si contendono la Premier, ma a sorpresa spunta un’altra squadra: il Leicester. Sappiamo tutti come sia andata a finire, così come sappiamo che da allora non ci sono state imprese di questo tipo.

Proveremo quindi ad analizzare i motivi dell’estinzione di queste bellissime favole.

Meno soldi, più spese

Questo è un discorso che vale specialmente per la Serie A, dato che in Premier League l’-ultima classificata riceve comunque tanti soldi quanti la vincitrice dello Scudetto. Come tutti sanno, i diritti TV fanno la parte del leone in un bilancio societario, e queste entrate sono ovviamente legate ai risultati sportivi; le squadre che accedono alle competizioni europee hanno entrate maggiori rispetto alle altre. Questo fattore, unito a una distribuzione dei ricavi dei diritti TV che da anni fa discutere in Lega, alimenta un circolo vizioso per cui le squadre che si qualificano in Europa guadagneranno di più e potranno spendere di più, stroncando sul nascere qualsiasi pretesa di squadre medio piccole.

Del resto, per trovare una squadra diversa dalle solite big qualificata in Europa bisogna risalire alla stagione 2015/16, quando il Sassuolo si qualificò in Europa League. Qualcuno potrebbe obiettare, dicendo che l’Atalanta ha delle qualificazioni più recenti e rappresenta una favola del calcio moderno. Questo poteva essere vero per il primo anno dei miracoli, il 2016/17. Tuttavia, dopo 5 anni ai vertici del campionato, dopo investimenti abbastanza pesanti e dopo aver cominciato a ristrutturare lo stadio, ci sentiamo di dire che i bergamaschi sono ormai una realtà affermata. Ovviamente con grandissimo loro merito, ma sui nerazzurri torneremo in seguito.

Dicevamo dei diritti TV che portano meno soldi, ma dobbiamo anche parlare dell’altra faccia della medaglia. Le spese rimangono sempre quelle, anzi tendono ad aumentare. Per coprire queste spese si devono vendere i giocatori migliori e sacrificare sull’altare del bilancio i ragazzi della Primavera, impendendo così al club di avere un qualsiasi progetto ambizioso. In uno scenario del genere, puntare all’Europa è improbabile.

Sassuolo (@Shutterstock)

Il calcio delle bandiere non c’è più

Senza scomodare Maldini, Zanetti, Del Piero e Totti, possiamo comunque dire che non esistono più le bandiere dei vari club. I giocatori vedono i club come un’occasione professionale, buona per mettersi in mostra sperando in palcoscenici più importanti e redditizi. Che piaccia o meno, fa parte del calcio moderno, quindi bisogna fare i conti anche con questo. Risulta anacronistico pensare che un giocatori rinnovi per amore della maglia e non perché la società si svena pur di non perderlo a zero, cosa di cui abbiamo parlato anche in un altro articolo. In definitiva, senza senso di appartenenza, le sconfitte pesano di meno, così come le retrocessioni o le (poche) imprese.

Abbiamo accennato a 4 grandi bandiere di 4 grandi squadre, ma fino a qualche anno fa quasi tutte le squadre avevano una bandiera: il Chievo aveva Pellissier, l’Udinese di Natale, il Parma Lucarelli, il Cagliari Conti e il Bologna Signori (questi per non andare troppo in là con le stagioni). Attualmente, nessuna di queste squadre ha effettivamente una bandiera, ma è un discorso che si può tranquillamente estendere.

Il fenomeno Atalanta a confronto con la moderna Serie A

Avevamo promesso di tornare sull’argomento Atalanta, perché ci serve per fare da paragone con le altre squadre. Gli Orobici si sono affermati come una realtà ormai, ma è anche vero che le basi di partenza erano ben altre. Dopo il miracolo 2016/17, i Percassi avrebbero potuto ritenersi soddisfatti e decidere di non investire sulla squadra, ma hanno fatto l’opposto, venendo premiati dai risultati.

Se anche le altre squadre di media-piccola caratura iniziassero a seguire un modello di questo tipo, ne gioverebbe tutto il movimento calcistico. Eppure, si preferisce vivacchiare ( in certi casi annaspare), in attesa della stagione di grazia per poi vendere i propri gioielli a gennaio, inaridendo la competitività di un campionato già di per sé spaccato in due tra big e non big. Ultima considerazione, sempre in Italia c’è una competizione che con 5-6 partite ti permetterebbe di andare in Europa League, ovvero la Coppa Italia.  Ebbene, tralasciando tutte le critiche al format opinabile di questa competizione, ci sentiamo di dire che è anche “colpa” delle piccole se questa coppa è vista come un accessorio. I miracoli in coppa sono sempre meno, quest’anno giusto il caso della Cremonese; per il resto, solo due squadre di Serie B agli ottavi, nessuna ai quarti, pochissime sorprese. Peccato, perché per le medio-piccole potrebbe essere un’ottima occasione di fare bene…

Atalanta (@Shutterstock)

Su questo tema ci sarebbe molto altro da scrivere, ma il risultato sarebbe comunque lo stesso: il calcio è cambiato.

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