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Giornata della Memoria: la lettera del 1944 che ringrazia un carabiniere per aver salvato degli ebrei

di Lorenzo Peratoner

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In occasione della Giornata della Memoria emerge una storia particolarmente commovente e toccante, che mette in luce l’eroismo di un giovanissimo carabiniere, il quale, disobbedendo agli ordini delle autorità fasciste, ha contribuito alla salvezza di ebrei e prigionieri di guerra dalla deportazione nei lager.

Giornata della Memoria: la lettera e la testimonianza di Borroni

A rivelare la notizia, nella giornata di ieri, è stato il 75enne Renzo Borroni, il quale avrebbe ritrovato per puro caso una lettera risalente al 15 settembre 1944; scritta a macchina, la sua autrice sarebbe Lilly Breitel. Quest’ultima era un’ebrea di origine polacca internata nei campi di concentramento prima di Lanciano (Chieti), poi in quello di Pollenza e infine di Sforzacosta (Macerata).

Per risalire all’identità della donna, Borroni si è avvalso della consulenza di Annalisa Cegna, professoressa a contratto di storia contemporanea presso l’Università di Macerata. In questa lettera Breitel ringrazia, a nome suo e di altri ex-internati, Mario Borroni per aver salvato la vita di diversi prigionieri fuggiti grazie all’aiuto dal carabiniere, che all’epoca aveva poco più di 20 anni, che si trovavano presso l’ospedale civile di Macerata.

Un estratto della lettera recita:

“Oggi noi possiamo dire, con senso di profonda gratitudine, che lei, in quel periodo, sotto la divisa di carabiniere, agì sempre con spirito di patriota, e servì sempre la causa della Liberazione, perché, ad esempio, lei, ricordiamo benissimo, aiutò molti inglesi, prigionieri, a fuggire dall’ospedale e intralciò sempre, efficacemente, le richieste al riguardo che le autorità fasciste facevano”.

Così Borroni ha raccontato:

“Dopo la morte di mio padre e successivamente di mia madre Luciana nel sistemare le cose dei miei genitori che non c’erano più ho ritrovato, in fondo a un cassetto, una vecchia lettera a firma di Lilly Breitel […] Una lettera commovente che ha dato un senso ai racconti fugaci che ogni tanto papà faceva della guerra. 

A distanza di tanti anni ho un grande rammarico, quello di non aver prestato troppa attenzione ai racconti di mio padre, darei tutto per parlarci ancora mezz’ora per riascoltare i suoi ricordi, i ricordi di un uomo generoso e buono, probabilmente un eroe”.

Mio padre non dava peso per niente a questa storia. Non aveva fatto una scelta ideologica: voleva solo essere un carabiniere. Da carabiniere era dovuto scappare dalla caserma l’8 settembre, rischiando di essere deportato in Germania. Poi con la Rsi nel ‘44 tornò in servizio e si trovò a fare la guardia ai prigionieri portati all’ospedale di Macerata. Non ha mai dato peso alla parte della lettera in cui si dice di far avere quel documento alle autorità, per far riconoscere i suoi meriti. Ha cercato solo di dare una mano”.

Fonti: ANSA, Il Resto del Carlino

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