di Francesco Ferri
Una coppia di genitori rom è finita a processo a Torino con una pesante accusa di maltrattamenti alle figlie. Dopo un’iniziale condanna in primo grado a due anni e sei mesi di carcere, la Corta di Appello li ha assolti “perché il fatto non costituisce reato“.
Le violenze dei genitori
I genitori colpivano spesso le proprie figlie, tutte minori di dieci anni, con schiaffi, sculacciate e violenze varie. Lo facevano perché consideravano la violenza, come spiegato dai giudici, “L’unico strumento disponibile per garantire ordine e disciplina in seno alla famglia e/o nei rapporti tra le bambine“. E questo lo facevano “percuotendole ripetutamente con schiaffi, calci, utilizzando anche oggetti“. Ma non solo violenza, anche maltrattamenti vari “trascurandiole nell’igiene e nella cura” e “litigando violentemente tra di loro alla presenza delle bambine“.
L’assoluzione
I giudici avrebbero valutato ampiamente il contesto in cui si verificavano questi maltrattamenti: “Il clima di violenza mi sembrava accettato come un dato di fatto, ma sono bambini che vivevano in un campo rom, dove la violenza è un connotato“. Ha così sostenuto al processo un neuropsichiatra infantile. “Quanto alle percosse infilitte, le peculiari condizioni del contesto familiare fanno insorgere notevoli dubbi sulla coscienza e la volontà di sottoporre le figlie a qualsivoglia forma di maltrattamento agli effetti dell’articolo 572c del codice penale“. Così ha scritto il presidente della Corte d’Appello. Ecco quindi che l’assoluzione sarebbe giunta siccome i bambini vivevano in un contesto in cui la violenza è l’unica chiave per poter gestire la disciplina della famiglia. Oltre a ciò l’assoluzione sarebbe stata altresì motivato dalle manifestazioni di affetto di cui i genitori, comunque, si sono dimostrati capaci nei confronti delle figlie.
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