Paul Pogba ha riportato in auge il tema del doping. Negli ultimi anni i calciatori che hanno assunto sostanze per migliorare le proprie prestazioni sportive sono diminuiti, ma non scomparsi. L’ultimo caso nel nostro campionato ha visto José Luis Palomino protagonista, costretto a scontare 4 mesi di sospensione, seppur contestati e controversi. Vediamo insieme alcuni casi meno recenti, ma mediaticamente impattanti.
Uno dei casi di doping più noti della storia del calcio. Il numero dieci più iconico, Diego Armando Maradona, fu anche protagonista di uno dei primi casi che avviarono alla lotta contro il doping. Sia chiaro, la pratica era già vietata da tempo, ma la fatidica “goccia che fece traboccare il vaso” arrivò con i Mondiali USA del 1994. Maradona era già lontano da Napoli, dalla quale “scappò” dopo essere risultato positivo alla cocaina dopo un match casalingo contro il Bari nel marzo del 1991.
Dopo la parentesi al Siviglia, iniziata con la fine della squalifica di un anno e mezzo dovuta al fatto prima menzionato, Maradona tornò in patria, al Newell’s Old Boys, per prepararsi al Mondiale 1994. Non riuscendo a perdere peso, “El Pibe de Oro” si affidò a una sostanza a base di efedrina per dimagrire più velocemente. Venne convocato negli “States“, segnò un gol nella vittoria per 4-0 dell’Argentina contro la Grecia, ma poco dopo fu squalificato dalla FIFA. Ammise lui stesso l’utilizzo delle sostanze dopanti, e terminò così la sua carriera calcistica. Un grande campione, che spesso e volentieri è caduto nell’eccesso.
Troppo nandrolone nelle urine del giocatore. Pep Guardiola, appena arrivato nel Brescia di Baggio e Mazzone, fu costretto a scontare 4 mesi di squalifica per doping. Guardiola, sostenuto dal presidente del Brescia Corioni, si dichiarò innocente sin dall’inizio, e la carriera pulita e senza problemi del catalano dava manforte alla sua buona fede. Nell’ottobre del 2007, dopo una lunga battaglia legale, la verità venne a galla e il giocatore fu assolto. Ciononostante il “caso Guardiola” rimarcò ancora una volta la necessità di più controlli anti-doping nel mondo del calcio. E forse dopo questa vicenda si è lavorato anche per renderli più efficaci…
Una carriera travagliata, quella di uno dei più grandi talenti calcistici mai prodotti dalla Romania. Argeș Pitești, Dinamo Bucarest, Inter, Verona, Parma, Chelsea, Juventus, Fiorentina, Cesena, Ajaccio, Petrolul Ploiești, Pune City e Târgu Mureș. 13 squadre in una carriera iniziata nel 1996 e terminata nel 2016 (Transfermarkt). 20 anni che sono stati scanditi anche da eventi molto controversi. A partire dall’ottobre del 2004, quando Mutu si trovava al Chelsea. Un controllo antidoping lo dichiarò positivo alla cocaina, e scontò 6 mesi di squalifica con annessa multa da circa 20000 sterline. Gli strascichi di questa vicenda si sono protratti fino al 2018, quando dopo un procedimento giudiziario il Chelsea riuscì a difendersi dai ricorsi di Mutu, costretto così a pagare una sanzione da 17 milioni di euro di risarcimento ai “Blues” per danni morali.
Non solo cocaina, visto che nel gennaio 2010 Mutu, che vestiva la maglia della Fiorentina, venne scoperto positivo alla sibutramina dopo i test antidoping. La sibutramina è una sostanza che inibisce la fame, e viene utilizzata per cure dimagranti. Nei mesi successivi il CONI comminò una pena di 9 mesi di sospensione dalle attività sportive, che portarono a una graduale rottura con i “Viola” e al passaggio a Cesena per riscattarsi.
La vicenda che vide coinvolto l’ex portiere di Ajax e Inter, attualmente al Manchester United, è stata particolarmente grottesca. Infatti l’allora 24enne talento dei “Lancieri” venne squalificato per 1 anno da ogni competizione calcistica per via di un grave errore. Sua moglie stava seguendo una terapia farmacologica a base di desametasone, un potente anti-infiammatorio, e Onana, secondo dinamiche dichiarate plausibili dal tribunale UEFA, ingerì una dose di quel medicinale. Nonostante la natura non dolosa del fatto, la pena venne comminata integralmente, in quanto:
“La Federazione europea ritiene, sulla base delle norme antidoping applicabili, che un atleta abbia il dovere in ogni momento di garantire che nessuna sostanza vietata entri nel corpo”.
Insomma, attenzione a ciò che si beve e si mangia.
L’ex attaccante, fra le altre, di Milan, Roma e Genoa, fu coinvolto in una vicenda di doping nel 2007. A seguito di test a campione effettuati dopo la partita Milan-Roma, tenutasi il 21 dicembre 2006, Marco Borriello risultò positivo al prednisone e alla sua forma attiva elaborata dal fegato, il prednisolone. Due “parenti” del cortisone, e quindi sostanze espressamente vietate dal regolamento sportivo.
Il giocatore che all’epoca vestiva di rossonero venne sospeso per 3 mesi. Ma la vicenda suscitò scalpore non tanto per la condotta antisportiva, quanto per la giustificazione del fatto. All’epoca Borriello era fidanzato con la showgirl Belén Rodríguez, che tentò di salvare il suo amato in maniera quantomeno bizzarra. L’argentina infatti dichiarò che la causa della positività di Borriello è stata una pomata contro le infezioni vaginali a base di cortisone. Stando alla ricostruzione di Belén, infatti, i due avevano consumato un rapporto non protetto, e il malcapitato sarebbe stato infettato. Una vicenda particolare, smentita recentemente dallo stesso giocatore (Corriere), il quale ritiene che prednisone e prednisolone fossero componenti di una medicina antidolorifica prescritta dal suo dentista per un problema al molare.
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