Banca di cellule staminali (@Shutterstock)
Un donatore di sperma ha inconsapevolmente trasmesso il gene del cancro a causa di una mutazione genetica legata a una rara sindrome tumorale ereditaria, e ha donato il proprio sperma alla banca del seme europea, contribuendo alla nascita di 67 bambini in otto Paesi. La scoperta ha portato molte preoccupazioni sulla sicurezza della procreazione assistita, sui protocolli di screening genetico attualmente in vigore e sulla necessità di normative più rigide a livello europeo.
Il donatore, attivo tra il 2008 e il 2015, era portatore della mutazione del gene TP53, associato alla sindrome di Li-Fraumeni. Questa sua condizione ereditaria predispone allo sviluppo di diversi tumori in giovane età, come ad esempio leucemie, sarcomi e tumori celebrali. 27 dei 67 bambini nati con il suo sperma hanno ereditato la mutazione genetica e purtroppo 10 di questi hanno già sviluppato il cancro.
Secondo quanto riportato da The Guardian, al momento delle donazioni, il gene TP53 non rientrava nei test genetici di routine. Questo ha fatto sì che l’uomo potesse donare ripetutamente il suo sperma, nonostante avesse già tre figli biologici affetti dalla stessa mutazione.
Anche il New York Post conferma che il donatore di sperma era registrato in un sistema che non prevedeva limiti chiari sul numero di famiglie coinvolte. A causa della mancanza di controlli genetici approfonditi ha trasmesso inconsapevolmente un gene associato al cancro a decine di famiglie
La genetista Edwige Kasper, citata da La Repubblica, sottolinea la necessità di limitare a 25 il numero massimo di famiglie che possono ricevere lo sperma dello stesso donatore. Oggi, in assenza di una regolamentazione unica, ogni Paese europeo stabilisce le proprie soglie, senza un sistema di tracciamento transnazionale efficace.
Questo avvenimento ha aperto un grande dibattito etico sulla trasparenza genetica, sul diritto all’informazione per i futuri genitori e sui rischi di trasmettere patologie ereditarie. Le famiglie al momento si trovano ad affrontare gravi problemi medici e molto probabilmente cause legali, chiedendo risarcimenti e più tutele.
Articolo scritto da Mariana De Carli
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Fonti utilizzate: The Guardian, New York Post, La Repubblica
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