di Redazione NCI
Dark Souls, opera magna di From Software, compie dieci anni. Un autentico mito della scorsa generazione, che non ha smesso di dominare la scena videoludica, giunge a tagliare un traguardo importante, specie se si pensa all’influenza che ha impresso nell’intero media videoludico.
“Bene, bene, chi abbiamo qui? Un pellegrino dal rifugio, portato in volo? Da un amico alla nostra Signora del Peccato? Da dove cominciare?”
Recitava così l’inizio di una famosissima canzone dei Tanooki Suit. Già, da dove cominciare? Sono trascorsi dieci lunghi anni da quando Dark Souls ha mostrato il suo volto oscuro sugli scaffali di tutto il mondo. Dieci anni da quando il mercato videoludico ha incontrato le anime oscure e, da quel momento, tutto è cambiato.
Dark Souls, odio e amore
Due campane da suonare, un’infinità di nemici pronti a far brandelli delle marce carni del protagonista e tante, veramente tante, domande senza risposta alcuna. Pendagli inutili, torreggianti cavalieri neri, viverne rosse. Un turbine di elementi tetri, inquietanti e tremendamente duri da mandar giù.
La difficoltà, la proverbiale difficoltà di Dark Souls è stata fin dal rifugio la più grande amante del giocatore, amante sì, un’amante capricciosa e, spesso, sadica. Ma perché definirla amante? Perché è grazie a questa se amiamo i Souls. Ci ha preso la mano, l’ha tirata scagliandoci al suolo e poi ci ha pure riempito lo stomaco di calci.
Ma non c’è solo dolore, ci ha baciati quando abbiamo mandato a segno il primo parry, per dieci anni ci ha sedotti quando abbiamo piegato a noi quei maledetti di Ornstein & Smough (aka Gianni e Pinotto). Ci ha fatto urlare quando abbiamo spezzato i Quattro Re. Un amore doloroso, proprio per questo indimenticabile.
Un viaggio indimenticabile
Il 22 settembre di 10 anni fa ci incamminavamo in un viaggio terrificante, un’autentica discesa all’inferno in un mondo incantevolmente degradato. Dieci anni sono trascorsi da quando il corvo ci ha buttati al Santuario, quel magico luogo in cui siamo stati presi in giro, massacrati da scheletri enormi ed in cui abbiamo ascoltato le inquietanti risate di uno strano cavaliere in armatura color ottone. Un luogo che, per chiunque abbia vissuto Lordran, resterà indimenticabile.
Abbiamo incontrato la bellezza di un inganno nella Città degli Dei, siamo scesi nelle profondità più oscure per dare la morte al primo dei morti. Abbiamo incontrato la nostra fine più volte di quante ne riusciamo a ricordare. In dieci anni infiniti Joypad sono stati sacrificati sull’altare del rage più nero e, spesso, l’unico responsabile aveva corna di pecora e come amici dei simpatici cagnolini.
Quante volte ci siamo attaccati alla borraccia d’estus? Quante volte abbiamo esaurito la stamina rimanendo imponenti davanti all’arrivo dell’odiata scritta? Quanti roll sbagliati ci hanno gettati nel baratro o, peggio, nella lava? Infiniti modi per morire, ma ogni singola volta tornavamo, perché non ci era dato di abbandonare il mondo. La maledizione esige il suo tributo, esige noi.
Lordan, la magnifica decadenza
Abbiamo incontrato il cavaliere più puro di quel mondo marcio, lo abbiamo conosciuto nel mezzo del suo disperato tentativo di raggiungere il sole e con gli occhi gonfi di lacrime abbiamo posto fine alla sua follia quando la sua stessa volontà aveva finito per divorarlo. Non lo dimenticheremo: “If only I could be so grossly incandescent”. Probabilmente mai si rese conto di essere per davvero incandescente, almeno ai nostri occhi.
In tutto questo tempo Lordran non ha mai smesso di essere spietata con i suoi avventori, ci ha mostrato la bontà di un bizzarro Cavalier Cipolla, ci ha spinto ad aiutarlo, salvarlo, assisterlo, fino a farlo sentire inutile, fino a fargli perdere lo scopo. Fino a quando non è impazzito. E ci ha fatto conoscere sua figlia, mostrandoci la brutalità della maledizione, spezzando quanto rimasto integro del nostro cuore.
In dieci anni Lordan non ha fatto che popolarsi, che crescere, crollare, morire e rinascere dalle sue ceneri. Ancora e poi ancora abbiamo condiviso un cammino magnifico e terribile, Noi, insieme, assistendoci, aiutandoci in “jolly cooperation”. Abbiamo pianto, urlato, accartocciato pad, gioito e ancora gridato. Abbiamo ucciso il dio di quel mondo.
Siamo giunti alle porte del luogo che ha dato origine a Tutto, le abbiamo varcate e abbiamo fissato lo sguardo negli occhi di Lord Gwyn, il Signore di Tutto. Non c’era nulla nei suoi occhi, un guscio vuoto, scavato dentro dal disperato tentativo di prolungare il tempo, nel tentativo di rimandare la fine. Ma Dark Souls ce l’ha insegnato innumerevoli volte, la fine è inevitabile. Abbiamo scelto se bruciare o fuggire. Abbiamo scelto tra la luce e le tenebre.
La fine di Dark Souls?
La fine è inevitabile, Dark Souls ce l’ha insegnato, ma non ha mai applicato questa lezione. In dieci anni non ha mai smesso di far parlare, gridare e gioire di sé. Non si è mai fermato il cammino verso la fornace della prima fiamma. Probabilmente la maledizione ha colpito anche il titolo, probabilmente questa eterna avventura non può finire, e di questo Noi siamo davvero felici.
Come già stato detto da qualcuno di molto importante: “abbiamo affrontato esperienze diverse, eppure abbiamo condiviso lo stesso viaggio. Tu, io, NOI siamo i Souls”. Sappiamo bene che questo anniversario non è la fine. Questo anniversario, questo Decimo anniversario, è l’inizio.
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di VINCENZO DEL BELLO
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