Disponibile dal 19 Novembre su Netflix, la serie live action di “Cowboy Bebop” vede nel cast John Cho, Mustafa Sakir, Daniella Pineda, Alex Hassel e Elena Satine.
Creata da Shin’ichirō Watanabe, “Cowboy Bebop” è una serie animata giapponese composta da 26 episodi. Diventando subito un cult per il pubblico, l’anime ha influenzato molto la cultura pop e il cinema. Dopo tanti anni dal fantomatico live action targato Fox, voluto dallo stesso Watanabe, ma mai entrato in pre-produzione, arriva questa serie composta da 10 episodi su Netflix. Creata da André Nemec, scritta da Christhopher Yost sotto la supervisione di Shin’ichirō Watanabe, “Cowboy Bebop” è riuscita nell’arduo compito di offrire allo spettatore un live action rispettoso dell’opera originale?
La trama di “Cowboy Bebop” non presenta grandi differenze con quella dell’anime. I dieci episodi mostrano Spike (John Cho) e Jet (Mustafa Sakir), due cacciatori di taglie che tra un lavoro e un altro a bordo della Bebop, incontrano Faye Valentine (Daniella Pineda). Tra una taglia e un’altra, conosciamo meglio i tre protagonisti dove spicca su tutti Spike. Ed è proprio qui la differenza principale tra anime e live action. Se la serie animata nei suoi 26 episodi presentava un’ampia trama verticale, in questo adattamento abbiamo una trama orizzontale basata completamente su Spike. Ed è proprio qui che si presenta uno dei problemi di questo adattamento live action.
Il problema più grande di “Cowboy Bebop” risiede nel dare una certa importanza alla storyline di Spike. La space opera di Watanabe, tra i suoi tanti pregi, riesce a mettere sullo stesso piano tutti i suoi protagonisti. Mentre nel corso di questi 10 episodi vediamo come la sua storia prevalga sulle altre e di come l’approfondimento dato a Vicious (Alex Hassel) e Julia (Elena Satine), non sia così utile. Ed è proprio il combinare in modo esaustivo una trama orizzontale a quella verticale, porta ad avere un finale di stagione rapido e persino differente in alcuni punti rispetto l’anime. La rapidità del finale consolida il problema riguardante l’approfondimento fatto su Vicious e Julia.
Uno degli elementi che caratterizzava l’opera originale, era il mistero dietro alcuni personaggi, Vicious e Julia su tutti. Mai approfonditi nei 26 episodi dell’anime, tranne per il finale, il villain e il grande amore di Spike erano affascinanti proprio per il mistero dietro le loro back story. Ma questo adattamento live action fa il grosso errore di approfondire i due protagonisti del passato del cacciatore di taglie, rendendoli molto scialbi, su tutti il Vicious interpretato da un Alex Hassel non completamente in parte. Ma nonostante questo, “Cowboy Bebop” è un prodotto che rispetta l’anime, a discapito di altri tentativi falliti (“Death Note” e “Dragon Ball Evolution”).
Nel corso dei 10 episodi di “Cowboy Bebop”, è evidente l’amore verso l’opera originale. Ma questo è visibile solo dal punto di vista visivo e dei suoi protagonisti. Stilisticamente la serie mette bene in scena il mix di generi presenti nell’anime. Dal western, alla fantascienza, fino ad arrivare al pulp e alla blaixplotation, che a quanto pare ha influenzato prevalentemente il prodotto. Questo perché “Cowboy Bebop” appare come una pellicola di serie B e all’occhio dello spettatore che non conosce l’opera originale creata da Shin’ichirō Watanabe, può apparire come un grosso ed evidente difetto.
Passiamo ai tre protagonisti. All’annuncio del cast, il pubblico era scettico riguardo le scelte fatte dalla produzione. Ma se “Cowboy Bebop” funziona, il merito va assolutamente a John Cho, Mustafa Sakir e Daniella Pineda. Le versioni live action di Spike, Jet e Faye, sono la parte migliore di tutta l’operazione targata Netflix. Carismatici e molto credibili, il trio protagonista ricorda molto bene le loro controparti animate. Se abbiamo uno stile visivo e protagonisti che ricordano benissimo la loro versione anime, non si può dire lo stesso però della profondità del prodotto.
“Cowboy Bebop”, a differenza dell’opera originale, pecca di profondità. L’anime non era una semplice space opera con tante influenze e una trama verticale presente in ogni episodio, ma molto di più. L’attuale status quo della serie creata da Watanabe deriva proprio dall’aver raccontato non solo l’umanità dei suoi protagonisti, ma anche quella dei vari ricercati. Questo adattamento live action banalizza proprio questo punto. Sarà per rendere fruibile il prodotto a più pubblico possibile, ma “Cowboy Bebop” perde l’unica sfida che non avrebbe dovuto: rendere poetico il racconto.
Questa caratteristica è evidente in alcuni episodi dove vengono riproposti alcuni dei ricercati più iconici della serie animata. Su tutti spicca Mad Pierrot. L’episodio dedicato al killer più pericoloso in circolazione è la prova evidente di come il prodotto realizzato da André Nemec non sia profondo e tragico come il vero “Cowboy Bebop”. Non solo banalizza uno dei nemici più iconici dell’equipaggio della Bebop, ma utilizza questo personaggio per portare avanti la storia principale, caratteristica inesistente nei 26 episodi dell’anime. Nonostante i vari pro e contro, “Cowboy Bebop” per essere il più fedele possibile al prodotto originale, ha visto un grande ritorno “dietro le quinte”.
Alla colonna sonora di “Cowboy Bebop” targato Netflix, vediamo il ritorno della compositrice giapponese Yoko Kanno. Quindi con lei torna anche l’iconica opening song intitolata “Tank!”. Oltre ad alcune musiche inedite, ritornano anche altre colonne sonore presenti nell’anime del 1998. E come nella serie creata da Watanabe, anche in questo adattamento live action, la musica jazz funziona alla grande con quanto mostrato su schermo. Inoltre l’iconica sigla è stata rifatta con gli attori in carne ed ossa.
Un elogio va fatta alla CGI. “Cowboy Bebop” essendo un prodotto sci-fi, ha delle sequenze dove vediamo grandi astronavi in azione. Nonostante il budget non sembri elevato, per scelta stilistica o produttiva non si sa, lato VFX e CGI siamo davanti ad un prodotto di qualità. A differenza di “The Witcher”, sempre targato Netflix, “Cowboy Bebop” presenta un lavoro di livello su questo fronte, uno dei più difficili nel dover trasporre in live action, passando così a pieni voti questo “test”.
“Cowboy Bebop” è un passo in avanti con gli adattamenti live action di prodotti animati giapponesi. Con un cast protagonista in parte, un’ottima colonna sonora e un comparto tecnico di livello, si rivela un prodotto complessivamente sopra la sufficienza. L’approfondire e ampliare alcuni elementi dell’anime, non ha portato però il risultato sperato. La conseguenza di questo è stato cancellare il lato umano e tragico presente negli episodi con trama verticale della serie animata, banalizzando il prodotto nel suo complesso.
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di Gabriele Di Nuovo
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