di Redazione NCI
Che la Cina e i videogiochi stiano vivendo una relazione a dir poco complicata, non è di certo una scoperta. Il pesante freno posto dal governo alla produzione, pubblicazione e consumo di questa fetta di mercato, però, ha avuto conseguenze importanti dal punto di vista di chi questo mercato lo alimenta: le aziende.
Cina, stop all’approvazione di videogiochi: dall’estate hanno chiuso 14mila aziende
A lanciare l’allarme per il mercato cinese dei videogiochi è il South China Morning Post, secondo il quale dal momento in cui il governo ha posto un veto alla pubblicazione di videogiochi (vale a dire da luglio), sono numerosissime aziende e le compagnie di piccole dimensioni, ma non solo, ad aver chiuso. Sicuramente, l’aver stretto la morsa sul tipo di contenuti e sul tipo di messaggi trasmessi dai videogiochi stessi non aiutano. In Cina, i videogiochi non sono visti di buon occhio, come dimostrano i numerosi interventi volti a limitarne l’uso.
La legge impone una licenza per gli sviluppatori di videogiochi necessaria ad introdurli negli store: un esempio è Apple. Ma la NPPA, che si occupa proprio di approvare i videogiochi e rilasciare le licenze, è inattiva da luglio 2021. In questo periodo, non sono comparse più le liste aggiornate mese per mese dei videogiochi con licenza. Una lunga sospensione che ha portato al fallimento o al ridimensionamento. Il Securities Daily riporta di 14mila aziende fallite, che si aggiungono alle 18mila dell’anno solare 2020. Non sono state risparmiate neanche aziende di livello mondiale come TikTok, che ha licenziato diversi dipendenti addetti al settore videoludico.
Una vera e propria mazzata ai videogiochi. L’ennesima, dopo la rimozione dallo store cinese di un colosso come Fortnite e di una delle piattaforme più utilizzate al mondo come Steam e la riduzione drastica delle ore massime consentite online per i minori di 18 anni. Un’altra conferma della pessima reputazione che il settore videoludico ha in Cina.
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di Piergiuseppe Pinto
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